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A spasso per Singapore, una guida per design addicted
Singapore Design Week: nasce il National Design Centre: aperto, gratis, tutto l'anno
Il 111 di Middle Road, nell’Art&Heritage district al centro di Singapore, ospita il nuovo National Design Centre ed anche la maggior parte degli appuntamenti della settimana del Design della città-stato asiatica, che finisce oggi (anche se in realtà un gran numero di mostre prosegue fino a fine mese ed oltre). Oggi è una data benedetta: finalmente a Singapore è arrivata la pioggia, attesa da settimane perché le riserve del paese cominciavano ad essere provate e tutt’intorno erba e piante bruciate dalla calura. La Singapore Design Week accompagna la fiera più longeva (che si svolge al Singapore Expo) ma non si era mai dotata di un “cappello” formale, diremmo di un brand, con il quale si è presentata quest’anno (infatti è di proprietà del Ministero delle Comunicazioni, che ha anche un’agenzia specializzata, il Design Council, sotto cui si trova il National Design Centre). Da quest’anno, quindi, la Singapore Design Week affianca le mostre off-site (Singaplural), che da tre anni sono invece organizzate dall’associazione di categoria del settore (SFIC, la stessa che organizza IFFS) e sono dedicate ai junior designer, ai tanti premi, alle attività educational e per le famiglie e a tutte le altre discipline (dalla moda, al paesaggio alla grafica) che la caratterizzano. E che quest’anno sono davvero tante.
Andiamo con ordine, la grande novità è il National Design Centre: da un vecchio istituto scolastico femminile, dopo un poderoso restyling, nasce l’hub per tutte le attività creative (che include un laboratorio di prototipazione, tre livelli espositivi di cui uno fronte strada, un bar oltre che un negozio di oggetti e piccoli arredi) aperto (gratis) tutto l’anno. Quest’anno Singaplural si è inaugurata all’interno del modernissimo edificio. Tra masterplan e architetture (Singaplural si dedica in egual misura a tutte le discipline del progetto accanto al product ed al furniture), fashion designer premiati in patria e nel continente, l’esposizione degli oggetti premiati con il Singapore Good Design Mark (una sorta di ibrido tra Red Hot e Compasso d’Oro), mi ha molto stupito l’ultimo piano del palazzo, dedicato all’alfabetizzazione delle giovanissime generazioni (bambini in età scolare dai 5 ai 7 anni, non di più) alla creatività non competitiva (i risultati di un workshop con tante classi di scuole locali sono esposti con pari dignità insieme ai lavori di designer e architetti pluripremiati).
Due competition (48 Hours Design Challenge) hanno messo l’uno contro l’altro due team di designer e visual merchandiser da Robinsons (uno dei mall più grandi) e cinque diverse scuole (tra cui la Nanyang ed il politecnico locale) al The Park Mall, l’altro più preminente e dotato anche di più negozi di arredamento. I primi due team si sono sfidati utilizzando due possibili declinazioni della vita urbana (jungle-city chic) per personalizzare arredi, abiti e accessori in vendita nel mall insieme con i cristalli Swarowsky (l’Atelier Swarosky, una linea di gioielli della nota maison di cristalli che da un anno è distribuita in Asia, è partner dell’iniziativa ed ha ovviamente un corner all’interno del grande magazzino). Tornando alla competition, ciascun gruppo ha lavorato …per 48 ore di fila, a condizione di usare solo “scrap”, scarti, oltre ovviamente ai prodotti di design e di moda di cui fare styling. Non è un compito facile, ne’ per chi ha lavorato in una glass house al di fuori di Robinsons, ne’ per i cinque team di studenti che (forse ancor più difficilmente) hanno dovuto personalizzare altrettanti spazi di retail (dalle cucine, alle poltrone, ai tessuti) di altrettanti brand. Una giuria ha assegnato un premio al team di studenti che meglio ha interpretato i temi di concorso, 4800 SingDollari andati, insieme ad un trofeo, al gruppo del Temasek Polytechnik che ha lavorato per il brand Hugo Kitchen, trasformando oltre 6000 posate di plastica in un decoro, a mo’ di vetrofania, per le vetrine del corner.
Non facile il compito, ma la SFIC ha tentato quest’anno di avvicinare il pubblico più generico al mondo del design, invitando 15 artisti e 15 designers a lavorare su un’eredità molto cara ai cittadini, gli alberi abbattuti dal vento dei parchi cittadini (sono molti e molto ben curati, nonostante la seconda settimana di fila di una siccità mai vista). In uno di questi, prospiciente Park Mall, Dobhy Ghauth Green, ve ne sono 28 (le altre due sono al National Design Centre) esposte e “utilizzabili”. 30 Lifestories iremember parks non è solo un bel caso di riuso, ma è anche una ricerca sulla memoria di (giovani o non) creativi che nel lavorare su un tronco vi aggiungono le proprie impressioni di cittadini, che utilizzano un parco. Oltre alle sculture, lo stesso parco ospita sei installazioni di grandi dimensioni, tra cui quella di uno dei giurati della 48h Competition, l’architetto ginevrino Claudio Colucci (oltre a lui, David Carlson, Timothy Power ed il giapponese Yoichi Nakamuta, curatore internazionale di Singaplural quest’anno): Spectrum è una grande gabbia che può essere attraversata e le cui pareti sono fatte di morbidi fili colorati. Di fronte a Spectrum, le sedute del giovane studio locale, Creativeans, presente anche a The Park Mall con un saggio degli ultimi lavori, su un tavolo di carta (The Periodic Table) insieme a Desinere e ad un’artista Pang+Kanako: allestiti così perché sono tutti accessori da tavolo.
La 21ma edizione del Furniture Design Award (tutti i lavori sono in mostra al National Design Centre) ha visto due premiati (ciascuno nella propria categoria: studente o designer): Stool, sgabello di Agnieszka Klimowicz, del Polish-Japanese Institute of Information Technology e quello che preferisco di più The Link Shelf del designer americano Trygve Faste. Tra gli interior finalisti, molto avvincente Poochfam, un progetto dedicato ai pet e agli umani: tavolo basso con tappeto incorporato e lampada che si accende al passaggio del proprio animale domestico all’interno del loop ai piedi del porta-lampada (da un’idea della studentessa della Hong Kong University, Chow Ka Yi).
Il National Design Centre è puntellato di piccoli expo di aziende e designer, frutto spesso del lavoro di match-making di SFIC. Ed espone anche un neonato caso imprenditoriale (ancora una volta protagonista il giapponese Nakamuta che ne è a capo): gli skill dei designer locali e le tecniche di lavorazione più avanzate espresse dal paese sono alla base di industry+, una nuova design company che produce arredi e complementi. Specchi, tavoli e sedie, speciali fibre di nylon, luci sono firmati da otto designer del paese (in mostra fino al 31 marzo): Atelier Ikebuchi, Olivia Lee, Hans Tan, OutofStock, Studio Juju, Ministry of Design, VW+BS. Olivia Lee, il cui profilo è in bilico tra l’arte ed il design, firma due pezzi avventurosi del catalogo della neonata azienda: Revere un curioso set di vasi da fiori di finissimo vetro soffiato che raggiungono l’equilibrio dopo un po’ che sono posati sul tavolo. E Float, un tavolino ottenuto da foglie di loto incastonate con la resina.
Per la prima volta l’agenzia governativa Design Singapore si è messa alla prova organizzando (nella sola giornata di ieri, dalle 11 alle 18) un Design Trial che ha permesso ai cittadini di avvicinarsi al mondo del progetto visitando piccoli atelier di progettazione, studi di artisti, pop-up store e, perché no, le accademie d’arte cittadine. Hub di partenza e di arrivo il National Design Centre e due gli itinerari di visita: ho notato che ogni tour era pieno di curiosi che, attirati dall’apertura del nuovo building in una posizione centralissima, si avventuravano anche alla conoscenza del design, questo sconosciuto. Uno degli ultimi viaggi l’ho fatto con una graziosa famiglia di quattro persone: padre musicista accompagnato dalla moglie e da due figli, un ragazzino ed un’adolescente di 16 anni. E’ lei che ha saputo dei Trial e ha trascinato tutta la famiglia per un sabato diverso alla riscoperta della propria città (ama Milano, Montenapoleone e la moda, ma vuole studiare finanza e dedicarsi all’art management o al connubio finanza-moda).
I minibus accompagnavano tappa dopo tappa adulti, giovani e anziani locali, turisti e addetti ai lavori insieme, sfidando il caldo tropicale ed il clima aridissimo della ricca e super costosa Singapore - iper-popolata di algidi ed affollatissimi shopping-centre dove quasi mai si trovano negozi di arredo. I visitatori hanno dato del tu in questo modo alle giovani generazioni del design e alle economie informali che essi generano (spesso ubicate in quartieri diversi dall’Arts&Herigate).
Il plus dei Trial è stato proprio visitare i quartieri meno centrali, mentre mi difendevo dal caldo piluccando un banana-choco di Popaganda, ottimo gelato design su stick la cui ricetta naturale, (solo di frutta e nessun zucchero aggiunto), bisognerebbe importare. E lì che ho scoperto incredibili design shops totalmente mimetizzati in enormi tower-blocks degni di un film russo o cinese, dove mai ti aspetteresti di trovare le ultime riviste locali (imperdibile il primo numero di nuova rivista di viaggio, Afterglobe, firmata da giovanissimi autori: per il secondo, Seasons, lanciano una call for entries che scade il 20 aprile) accanto ad un food store tradizionale che arrostisce non stop anatre, strisce di bacon e salsicce di pollo.
Questi concept shop espongono, con un tocco nient’affatto scontato od Europe oriented le ultime novità in fatto di lifestyle: dalle bici agli accessori moda, fino alle nuove collezioni di borse di designer locali. La migliore l’ho vista da Tyrwhitt, che è anche il migliore concept shop del Trial (ideato da una S’rean worldy oriented che si chiama Netty): assolutamente made in Singapore sono ventiquattrore o bags da mercato splendidamente unisex o everysex, mischiano tweed inglese a stoffe reverse change con bordure in pelle e si trovano solo nel curioso quartiere di Jalan Beshar, un outpost ottocentesco di piantagioni (ora considerato quartiere storico) dove convivono, agli outskirts di Little India, vecchi barracks e bar hipsters degni di Williamsburg o del detestabile Ticinese di Milano. E dove nel 2017 arriverà la metropolitana (tra un secolo per la fast and furious Singapore, quindi).
Non solo le solite colonie hipsters con tutto il campionario di umanità dai capelli e dalle tendenze sessuali all’ultima moda nessuna esclusa (fortuna: Singapore non mi sembra la Russia da questo punto di vista), non solo vecchi quartieri che cambiano faccia alla velocità della luce (dove, in mezzo a cadenti food court come si usava una volta in mezzo alle case, si trova anche un red district che pare tra i più sanitariamente controllati al mondo): ho visitato anche una torre di un edificio in disuso, popolata (legalmente) da poeti e designer (The Mettle Work) che si trova a Geylang (la prima “quasi periferia” a nord est) e che accoglievano i visitatori del Trial mentre montava il sound system per le performance che si sarebbero susseguite per l’intera serata.
Nel cercare di visitare l’ultima tappa del North Loop Design Trial (Zarch Collaborative Office, studio di architetti ubicato nel Golden Mile Complex, un’area di precedente espansione a due chilometri a nord dell’Arts&Heritage District dove si trova il National Design Centre, che ora è considerata “obsoleta” o vintage in termini di design, visto il rapido sviluppo della building industry e delle sue mode) sono rimasta a piedi: lo studio era già chiuso e l’ultimo bus è partito senza di me, scesa convinta di conoscere questi giovani architetti pluripremiati!
Peak hour, attesa vana di un altro mezzo di trasporto, decido di camminare fino al mio hotel, dato che era circa (solo) tre chilometri più avanti e in Italia cammino molto di più ogni giorno, a piedi. Senza perdermi una delle (poche) aree in cui annaffiavano piante per bagnarmi e riuscire a camminare, ringrazio la defaillance del bus e dell’ultima tappa, perché mi ha permesso di capire di più e meglio dove mi trovo. Tutta la città, anche nelle parti centrali, ricalca la struttura vista a Little India, Geylang e Jalan Besar: grandi giungle verticali (i grattacieli e i building delle grandi compagnie - dalle banche alle corporation agli alberghi) qui e lì lasciano il fianco ai piccoli compound originali quasi schiacciati, spesso con giardini o aree verdi miracolosamente intatte. Luoghi di preghiera e case basse a due piani, abitate da musulmani o malesi o indiani, spesso colorate, con un basement per il negozio ed il primo piano per abitazione. Caotiche o confuse a nord e ovest, super-bobo (ma meno autentiche) nei piccoli endroit pedonali più prossimi all’Arts&Heritage district, come Haji Lane. Entrare in questi piccoli pezzi di paesaggio “anteriore” è come fare un viaggio nel tempo, odori e prossemica compresi.