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12th Venice Architecture Biennale, our feature
(excuse us, this article - part of hundreds of features we wrote for Italian press - is still under translation)
La prima Biennale Architettura firmata da un giapponese, la prima biennale firmata da una donna, per giunta una progettista e non una storica. Quante novità per la Biennale di Kazujo Sejima (SANAA Architects) che ha persino istituito un leone alla memoria (andato al suo maestro, Kazuo Shinohara). Grosse novità introdotte anche dal lavoro della Fondazione La Biennale di Venezia che ha riconquistato spazi aperti tutto l’anno come la rinnovata sua sede ora aperta al pubblico e non solo destinata agli uffici. Si tratta di Ca’ Giustinian a pochi passi da San Marco (nei pressi di San Zaccaria): grandi spazi espositivi e un invidiabile bar ristorante con vista laguna; poi della Biblioteca al Palazzo delle Esposizioni (Giardini) e di una partnership con le università per far diventare la visita alla Biennale un’esperienza curriculare con workshop e conferenze (oltre 34 gli atenei di tutte le nazioni ad aver già stipulato convenzioni al lancio dell’iniziativa).
L’Arsenale trasfigurato – riletto con cura e sapienza da Sejima e frammentato in modo tale da dedicare sale a ciascun artista od architetto selezionato – ospita per la prima volta il padiglione del Regno del Bahrein. Intitolato Reclaim e premiato con il Leone D’Oro per la migliore partecipazione nazionale (due anni fa andò alla Polonia), è il miglior modo di rispondere al tema lanciato da Sejima: People Meet in Architecture. Nonostante il Regno potesse presentare straordinarie architetture contemporanee, come ha detto il loro Ministro della Cultura, si è deciso di parlare di un fenomeno dal basso: un’architettura transitoria per sostare lungo il mare della capitale, per difendere una terra dalla speculazione edilizia.
Fanno bella mostra alle Artiglierie alcune palafitte abitabili e trasportabili: schemi della sosta e dell’adagio dalla lapalissiana funzione, sono adottate sia da giovanissimi che da anziani nel loro paese per godere del mare e per goderne tutti, ricchi o poveri. Nei giorni della vernice erano affollatissime di curiosi visitatori che scoprivano il Bahrein dalle parole dei mediatori che raccontavano come l’utilizzo della linea di costa si stesse evolvendo e come i cittadini avessero modo di entrare nel dibattito autorevole in corso. Winy Mass (MVRDV), invitato ad una conferenza al padiglione danese ai Giardini, ha detto, e ci associamo, che questa Biennale è straordinaria per tanti motivi. Per la prima volta è leggibile, minimale e chiara. E ogni padiglione è concepito per permettere un vero viaggio nei paesi oggetto di mostra.
Alle Corderie un leone d’oro come miglior progetto (a Study for Chateau la Coste del giapponese junya.ishigami+associates).
Poco distante da esso, una delle menzioni speciali, uno straordinario esempio di cosa può essere la camera delle meraviglie per un architetto: la sua utensileria, i suoi esercizi di stile e di carichi strutturali anche nell’epoca di CAD, per trovare tra le proprie mani la forma di un edificio o il guizzo creativo per l’arredo giusto.
Si tratta della grande sala di Mumbai Studio che ha esposto Work Place: un’accumulazione pressoché infinita di oggetti e plastici in legno (studiatissima, fino al cesello delle pendenze a cui sottoporre una trave di legno adagiata in bilico su una catasta di vecchie casseformi, super fotografata durante la vernice). L’altra menzione speciale all’Arsenale è per i cinesi di Amateur Architects che hanno portato in mostra una costruzione archetipale cinese: una cupola fatta di assi di legno, ottenuta incrociando quattro assi secondo una ritmica costruttiva condivisa dalla popolazione. E’ una semplice tecnica che adoperano tutti in Cina, soprattutto i normali cittadini.
Artisti, architetti ed ingegneri: come dimostra un panel dedicato nel ricchissimo carnet di conferenze, per Sejima (e per Paolo Baratta) sono tutti sullo stesso piano: ugualmente intrigati dalla committenza, soprattutto quella sapiente e sana. Aggiungeremmo anche cineasti, visto che la curatrice ha invitato Wim Wenders per realizzare un film in 3D, senza fine, perché in loop e anche in eterno ritorno: dopo 12 minuti l’azione ritorna naturalmente al punto di partenza. Il film parla di come si vive all’interno del Rolex Art Centre, un’architettura curva e lineare al tempo stesso, come il film, firmata da SANAA, tutta incentrata sul suo utilizzo finale da parte degli utenti (ancora una volta, si tratta un’architettura della conoscenza e del sapere).
Straordinaria l’opera di Olafur Eliasson (Your Split Second House, 2010): quattro canne di gomma (come quelle per irrigare) pioventi dal soffitto e associate ad una luce stroboscopica. L’acqua cade, sgorgando in penombra dalle canne impazzite a volteggiare a causa della pressione: ci si avvicina rimestando nelle proprie sensazioni e accorgendosi di percepire l’acqua all’avvicinarsi anche se gli occhi ingannano a causa della strobo e della penombra.
Subito dopo, Forty Part Motet, un’opera sonica di Janet Cardiff, prodotta dal Baltic: non è un’opera nuova, è la ricampionatura e spazializzazione di una sonata seicentesca (lo Spem in Alium, performata la prima volta al Salisbury Festival del 2001, lo stesso anno in cui Cardiff ha rappresentato il Canada alla Biennale Arte di Venezia, con un’altra opera sonica). L’artista lavora da sempre sul suono perché ad interessarla è l’effetto sculturale nelle città, negli ambienti costruiti (ecco perché Sejima l’ha invitata, mentre ha invitato Eliasson perché lavora sulla percezione). E’ incredibile l’effetto – ancora una volta ancestrale e prima di tutto percettivo poi architetturale e quindi culturale – che quest’opera produce alle Artiglierie. Una sonata per 40 casse da stereo. Un coro e gli strumenti, l’intera partitura divisa, sezionata, e ogni pezzo affidato ad una cassa. L’opera è riassemblata disponendo le casse nello spazio. Facendo però sì che l’audience si trovi al centro della scena e non viceversa, come accade nei concerti, dove nella buca o in platea ci sono gli orchestrali.
E’ il giardino delle Tese alle Vergini che continua a sorprendere, sin dalla sua riconquista avvenuta con l’apertura due anni fa alla mostra di architettura. Menzione speciale ad un nuovo giardino di essenze, costruito dall’olandese Piet Oudolf. E’ anche qui che si trova il Leone d’Argento per giovani progettisti, il premio a nostro avviso più meritatamente attribuito dalla Giuria composta anche da Joseph Grima (il nuovo, giovanissimo e valente direttore editoriale dell’italiana Domus).
Si tratta di 7 rooms 21 perspectives, autori i belgi OFFICE Kersten Geers David Van Severen insieme con il grande fotografo olandese Bas Princen. Le piccole stanze delle monache sono state riempite da immagini di prospettive architettoniche e di straordinari paesaggi con la composizione eterea e sculturale di Princen. Solo foto, nient’altro. Per chi lo ricorda, Princen è l’autore del memorabile lavoro fotografico al Padiglione Belga della scorsa mostra veneziana. Fuori le stanze, un portico bianco di collegamento, fatto di sottilissimo acciaio intrecciato che si regge su altrettanto sottili colonne, più simili a stuzzicadenti che reggono un etereo vimini: questo Leone premia la maestria di ridurre all’osso il confine tra progetto, paesaggio e socialità. O di annidarlo nella pura percezione e immanenza: imperdibile.
Non è tutto qui l’Arsenale (certo, al suo termine, vi è anche Ailati, il padiglione Italiano curato dal napoletano Luca Molinari) ma questa guida per punti di passaggio vuole essere un pranzo al sacco che vi lascia con molto appetito: è la Biennale architettura più espressiva e più utile che abbia mai visto, non va persa.
IMMAGINI
1 OFFICE Kersten Geers David Van Severen + Bas Princen. 7 rooms 21 perpectives, Venice – Model 50. © the authors
2 Olafur Eliasson. Your split second house, 2010. © Olafur Eliasson
3 Wim Wenders. If Buildings Could Talk …, 2010. a 3D video installation shot on location at the Rolex Learning Center of the Ecole Polytechnique Fédérale de Lausanne. © Neue Road Movies 2010