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Giardini, 30 minuti di poesia su Venezia ed i suoi Giardini quando non c'è la Biennale.
Steve McQueen emoziona ancora di più di Hunger, stavolta con un video d'arte
Giardini, 30 minuti di poesia – su Venezia ed i suoi Giardini quando non c’è la Biennale. E lucida accusa ai fasti imperiali – soprattutto britannici. Questo il titolo e il plot dell’ultimo film di Steve Mcqueen, il genio poetico della camera, che rappresenta la Gran Bretagna al padiglione Nazionale alla 53a Biennale di Venezia. Come il film di Dominique Gonzalez-Foerster al Palazzo delle Eposizioni (l’artista francese spesso invitata alla più importante esposizione-fiera delle arti visive che, come McQueen, utilizza prevalentemente il video, ossessionata dal cinema e dai suoi maestri) anche Giardinisi occupa della città lagunare. Quando non ospita la Biennale. Quando cioè Venezia è percorsa solo dai suoi amatori, oppure dagli artisti in cerca di luoghi per ambientare la propria opera. McQueen non ha esitazioni: parla prevalentemente dei Giardini per parlare di potere, impero e stato della democrazia a suo modo. Creando spiazzanti macro, oppure fuori fuoco estremi in un film duale, che si snoda su due piani, su due visioni che corrono parallele, intersecandosi spesso quasi a sottolineare i punti più incisivi.
Giardini si vive sulla pelle – e sulle memoria della città lagunare che tutti gli amanti dell’arte, dell’architettura, del teatro e del cinema hanno. Sollecita emozioni e ricordi come niente altro. Come in Western Deep (2002) quando gli spettatori, grazie alla potenza delle immagini, scendevano nelle viscere di una miniera d’oro sudafricana pur non essendoci mai stati. O ancora di più come in Hunger, il suo primo film da sala. In Italia sfortunatamente non è stato proiettato, ma è stato premiato a Cannes con la Camera D’Or e ha registrato per settimane il tutto esaurito nei cinema a Londra, Parigi e Berlino. Hunger parla di un’altra pagina nera dell’impero britannico: McQueen non fa sconti alla sua madrepatria. Una rivolta di un membro dell’IRA, Bobby Sands, che inscena uno sciopero della fame che lo assassinerà, nel corso della blanket revolution/rivolta delle coperte che scosse le carceri del regno che vessavano inumanamente i prigionieri politici. In Hunger qualsiasi spettatore era nelle vene esangui di Sands mentre moriva, oppure era estasiato dalla levità con cui McQueen trasportava nelle visioni di uomini non liberi, che bramavano l’aria, il soffice contatto sulla pelle del sole o delle foglie che cadono.