12.ma Biennale di Architettura a Venezia: i padiglioni ai Giardini

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12.ma Biennale di Architettura a Venezia: i padiglioni ai Giardini

Genius loci e tanta Venezia – la sua storia, i luoghi segreti e l’ecosistema – ai Padiglioni nazionali della Biennale di Architettura. Sarà il tema People Meet in Architecture, sarà la devastante crisi del real estate che in primis colpisce chi città, parchi, scuole e palazzi progetta e costruisce – fatto sta che i padiglioni nazionali della Biennale di Venezia 2010 sono navigabili e godibili, tranne qualche porosa e triste eccezione (Polonia prima di tutto, dati gli exploit precedenti). Sebbene a vincere il Leone per la partecipazione Nazionale sia stato il Bahrein di cui abbiamo già raccontato (trovandosi all’Arsenale), il nostro personalissimo Leone è un ex aequo scomodo e di provocazione. Va a quattro nazioni, che si stanno velocemente ripensando, per ragioni del tutto opposte.


La Gran Bretagna alle prese con la più grande crisi demografica, un surplus di nascite che potrebbe portarli alla bancarotta oppure a riassumere il controllo del mondo; la Grecia in default che rincorre, preziosissima, la radice di tutte le sfide: il controllo della botanica in tempi di devastazione industriale; infine l’Olanda e Belgio perché l’una e l’altra fanno dell’aggettivo del reclaim un’azione fondante per un pensiero sociale, semplice e diretto; la prima si occupa di pianificazione urbanistica, la seconda di spazi pubblici o ad alta frequentazione.


Villa Frankstein è il grandioso, metafisico progetto di Muf Architecture per quella che ancora ci sembra la ‘cool’ Britannia Blairiana: uno stadio, una pozza per bambini, una straordinaria installazione botanica di piante da laguna e uccelli (impagliati), uno straordinario e struggente compendio di pensieri di John Ruskin a cui il padiglione si ispira (l’autore di questa sezione è l’artista tedesco Wolfgang Scheppe, che vive a Venezia). Il padiglione si appresta a cambiare sin dallo scalone, dove a destra è stata costruita una pozza d’acqua dalla forma strana, amichevole: i bambini, ça va sans dire, sanno già cosa farci. Sempre i bambini o quelli che si ostinano ancora a guardare le cose sono i protagonisti della grande installazione (prodotta da una falegnameria veneziana) che accoglie all’ingresso: Lo Stadio dello Sguardo Ravvicinato è una scala 1:10 dello Stadio Olimpico di Londra e durante la Biennale ospita incontri, seminari e momenti di disegno (è provvisto di bizzarri leggii). Sarà smontato e riassemblato a Venezia grazie alla collaborazione con un gruppo di artisti, Rebiennale, che riutilizza artisticamente i materiali di scarto che giacciono nei padiglioni al termine dell’esibizione, che sia essa di arte o di architettura (quegli scarti mirabilmente raccontati da Steve McQueen durante la Biennale Arte). Funziona anche per la parte sottostante le gradinate, dato che la pendenza consente di ottenere un “rifugio” per attività secondarie di socializzazione. L’intero progetto curatoriale si estende anche al termine della Biennale. Catalogo e workshop accompagneranno fino a Londra 2012 – anno delle Olimpiadi.


La Grecia si preoccupa di censire l’architettura a partire dallo stomaco, dalle forme della socialità e della sopraffazione (soprattutto vegetale, descrivendo nel bel catalogo, con testo anche di Gabi Scardi, un intervento di Maria Papadimitriu). In particolare la mostra si concentra sui vecchi sementi e sulle varietà biologiche esistenti ma dimenticate ed a rischio estinzione, dato che nuove colture stanno prendendo piede (non sempre buone, ma spesso invasive e opprimenti). La cultura del networking, la varietà, l’edonismo, la simbiosi ed il nutrimento scambievole sono tutti i temi esplorati per abitare la terra.

Il Belgio è un abbecedario degli errori nell’utilizzo di materiali comuni (maniglie, pavimenti, linoleum etc) nei luoghi ad alta frequentazione come università, stazioni, biblioteche. Non senza ironia (in un certo punto del padiglione una porta ha sbeccato la parete con la maniglia e l’errore involontario è stato messo in mostra spiegandolo con una didascalia), i curatori hanno evidenziato come spesso nell’attitudine a progettare nessuno considera adeguatamente l’interazione come parametro fondamentale.

L’Olanda parte da una provocazione, astutamente non messa in pianta ma ad una proiezione ortogonale sopra le teste dei visitatori. Una moltitudine di palazzi, realizzati in plastica azzurrina, crea una rete di una città immaginaria. Si tratta di tutti i palazzi, siano essi di proprietà pubblica o privata, che nel piccolo stato olandese sono vuoti da almeno 5 anni. Con una serie di dibattiti proposti dal curatore Ole Bouman, Vacant (titolo e tema dell’esibizione) stimola nuovi usi e possibilmente differenti interazioni con lo spazio, che viepiù è da liberare più che da costruire – avendo l’Olanda una difficile sopportazione delle occupazioni (squat) delle proprietà inutilizzate. Prima di tutto, secondo i curatori, lo spazio va liberato con la relazione. Simpatetico che circolasse voce di un rave notturno nel padiglione nei giorni dell’opening e che curiosamente il rinfresco augurale fosse servito in bottiglie: ciascuno diveniva portatore di bevanda e di bicchieri in modo da poter interagire con il vicino e fare rete.