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dOCUMENTA 13 raccontata a Venezia / Chiara Fumai tra gli italiani
Il traffic controller della 13ma edizione, Carolyn Christov-Bakargiev: una mostra "no concept"
Nessuno scoop, come da programma, sugli artisti invitati o sui progetti in corso a un mese dalla vernice di dOCUMENTA 13: al suo posto campeggia un’enorme lista di 150 in ordine alfabetico - che mischia editor a artisti, filosofi a scienziati, poeti a architetti - sul sito della mostra. E per aspettare quella definitiva occorre essere il 6 giugno alla conferenza stampa oppure il 9 giugno all’apertura per il pubblico (la mostra chiude il 16 settembre 2012).
Carolyn Christov-Bakargiev, traffic controller più che curatrice (per sua stessa definizione) della prossima edizione del grande evento tedesco, ha presentato le linee guida che hanno ispirato la sua dOCUMENTA 13 in un’assolata conversazione en plein air con Luca Massimo Barbero sulla terrazza della Peggy Guggenheim Collection, affollata (complice il sole estivo ed il calibro dell’invitata) da tanti amanti dell’arte. Collezionisti, giornalisti e amici del museo affacciati sul Canal Grande e impegnati a rincorrere le pratiche di ieri e di oggi, tra citazioni di posizionamento e gradimento di artisti come Capogrossi, Masaccio, Giotto e fino a Picasso e tutto il gruppo degli artisti non graditi al nazionalsocialismo e in fondo protagonisti del primo episodio di Documenta, divenuta poi una delle più ambite mostre (a cadenza quadriennale) sebbene concepita per essere un one-off come tanti anonimi tentativi messi in pista ad ogni latitudine da artisti, curatori ed organizzatori. Differente da Venezia con la sua impostazione biennale e su base nazionale, eppure tanto amata non solo dai circuiti di addetti ai lavori, ma dalla gente comune, configurata come una sorta di evento di disseminazione dell’arte di oggi e di ieri (Documenta significa lezioni) anche ad un pubblico involontario (ampie sezioni della mostra sono infatti in luoghi pubblici e all’aperto, pur interessando tutti i musei della cittadina di Kassel).
dOCUMENTA ama tanto la parola wordly, ma non nel senso acustico e semantico forse simile a quello di Birnbaum (Fare Mondi), o almeno non completamente: la curatrice aspira alla stessa allure di universo di pratiche, senza fare dell’interdisciplinarietà un mantra ma semplicemente facendo incontrare, senza sovrapporsi o costringersi a lavori a quattro mani, “per una cena, una sera” fisici nucleari, poeti, architetti ed artisti ed offrire loro una nuova varietà (e pluralità) di punti di vista, che sottendono linguaggi insieme a pratiche insieme ad ispirazioni e sì, anche a teorie, a patto che queste ultime non centrifughino il resto. Una cosa la Christov l’ha spiegata senza tema di fraintendimenti voluti o involontari, ed è il lusso di dOCUMENTA: chi è chiamato a lavorarci (e lei ringrazia per metà Szeman e per metà la David, suoi fari-guida nonché ex direttori artistici della stessa rassegna) ha molto tempo per prepararsi (intercorrono quattro anni dalla nomina e anche la fase di produzione e installazione è lunga, durando tre mesi) e, aggiungiamo noi, un grande budget se paragonato alla popolazione residente e a quanto succede, ad esempio, in Italia, ad una mostra che dura cento giorni.
Città di Kassel, Land e stato centrale finanziano quest’edizione di dOCUMENTA con tre milioni di euro ciascuno, il resto lo fanno sponsor privati (una casa automobilistica tedesca, la Wolksvagen, e due banche, Deutsche e Sparkasse), e Christov la definisce una “grand expenditure in the right place”. Certo, le cifre di pubblico dichiarate all’ultima edizione sono interessanti per una città che solo un tempo (prima del trionfo di Hitler) era stata il cuore vitale della cultura tedesca dopo Berlino e Monaco ed ora con Documenta si è trovata una collocazione autorevole: 750.000 persone (quasi due volte la Biennale Arte di Venezia).
Se gli artisti non sono svelati, il sapore di cosa troveremo a Kassel è stato descritto. Oltre alla presenza di “agenti” di tante, varie discipline, avremo una massiccia interazione di culture tra di loro lontane, preferibilmente veicolate da “expat” che hanno deciso di fare ritorno ai loro stati di nascita. E nuovi esponenti dell’arte mediorientale con una massiccia presenza di artisti libanesi (quattro, se si considera la popolazione libanese, sono tanti secondo la Christov). Oltre a questo, cento “notebook” in colori brillanti ed assai studiati che sposano vari, inconsueti formati (tranne l’A4, che discrimina gli standard e divide gli USA dall’Europa, aggiunge la curatrice). I pamphlet saranno compresi nel catalogo in tre volumi ma sono acquistabili anche singolarmente e hanno puntellato questi quattro anni di attesa con temi e conversazioni tra quelli che saranno i protagonisti in mostra. La tiratura dei volumi singoli è di 2000 copie ciascuno. Hatje Cantz, l’editore, ne voleva 20.000 ma la direttrice artistica ha suggerito di farne un oggetto più attento e più “riservato” da scegliere e comprare con cura.
Christov ha tentato di stemperare soprattutto il ruolo del curatore, che tanta parte, forse troppa, sta prendendo della scena. Quasi in sopravvento rispetto agli artisti e tante volte a loro discapito. E, interessata a quattro aspetti del momento creativo (quando gli artisti sono in scena, quando sono sotto assedio, quando sono in una fase di speranza, quando sono in una fase di isolamento produttivo) si è concentrata a fare una mostra “no concepts”. Dove sono privilegiati i momenti di rottura con un certo discoursive turn tipico dell’impostazione di Catherine David a Documenta (“siamo molto simili per tante cose e non solo perché siamo donne, ma ci differenziamo su questo”) ed il favore verso pratiche empiriche e scettiche, per non cedere alla vague imposta dalla cultura dominante dell’industry dell’arte.
Ad una mia domanda su quale materia, per necessità, ha usato l’artista anagraficamente più giovane che lei aveva invitato a Documenta, la Christov ha risposto che si tratta di oggetti e persone mescolate insieme, in un modo nuovo che non ricorda od echeggia nulla che abbia a che fare con la simulation art, l’appropriazione o la performance e neanche con l’arte di relazione.
Non ci resta che scoprire chi è e a cosa si riferisca con questa mistura e cosa voglia significare quel modo nuovo di far rapportare persone e oggetti che non è, a suo dire, ancora stato scritto nel fare arte. E nel fare mondi o nuovi vocabolari comuni a più discipline.
Una nota scritta il 7 giugno: finalmente la lista degli artisti è stata pubblicata, non saremo a Kassel per i giorni dedicati alla stampa (la visiteremo solo dopo Art Basel). Tra gli italiani la positiva (e maggiore) sorpresa è Chiara Fumai, artista poliedrica - formazione da architetto, grande interesse per la musica e una carriera di dj appassionata di Italo Disco e techno, ha esordito da Care Of.
Pur non avendo visto ancora quello che presenta a Documenta, la sua relazione con gli oggetti e le persone, soprattutto con la fiction, è di altissimo livello pur essendo un'esordiente.
La lista completa degli artisti:
http://d13.documenta.de/#participants/participants/?tx_participants_pi1[showUid]=8&cHash=4854ab2356fa8a09b61010193f12b14f