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data: 17-06-2015
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Scolpire e spiegare le drammaturgie: la Biennale Teatro 2019
dal 22 luglio al 5 agosto in vari luoghi
La Biennale Teatro (Venezia, 22 luglio - 5 agosto) quest’ anno celebra la figura (plurale e polimorfa) del drammaturgo, non fermandosi alla scrittura ma estendendo questo ruolo ‘magico’ nel teatro anche alla drammaturgia della traduzione, del corpo e della scena. Antonio Latella continua con il suo programma di direzione artistica - anche se, confessa in conferenza stampa, non si è mai sentito tale ma solo un regista e un drammaturgo.
Il festival mette insieme formazione e grandi spettacoli e prende a prestito esperienze di successo in molti paesi, quest’anno anche l’Australia.
Cominciamo dai numeri e dai premi: 28 spettacoli (23 le novità: 2 in prima europea e due prime assolute), una conferenza/simposio (Pubblicare Teatro, il 26 luglio), letture dantesche nel foyer delle Tese e una ‘ricetta’ come tema del College che quest’anno coinvolge sia gli scrittori (under 40) che i registi (under 30) presentando i finalisti e le produzioni targate Biennale Teatro.
‘Il festival di Teatro ha un budget che non è neanche un decimo di uno dei teatri che invitiamo quest’anno - il Gorki di Berlino - perché in Italia il budget pubblico della cultura dal vivo (danza, musica, teatro) è succhiato, letteralmente, dagli Enti Lirici, vere e proprie idrovore.
Noi facciamo miracoli con quasi nulla, ad esempio facciamo Biennale Musica con soli 800.000 euro dove produciamo anche 4 opere musicali; per Biennale Danza oltre a fare masterclass per danzatori e per coreografi, riusciamo a mettere in campo il budget per pagare danzatori professionisti con cui i giovani coreografi che partecipano al College possono lavorare’ ha affermato Baratta (Fondazione Biennale SPA).
Latella ha messo in cartellone registi con una idea di drammaturgia molto diversa. Il Leone d’Argento, che gli sta molto a cuore, è Jetse Batelaan e si dedica al teatro per ragazzi ‘fatto tenendo ben a mente che non bisogna piegare i bambini al mondo degli adulti ma viceversa’. Il 22 luglio alle 18 la premiazione e a seguire il suo The Story of the Story (95’).
Jens Hillje - del Gorki Theater di Berlino - è Leone d’Oro alla Carriera: incontra il pubblico (un giorno prima del suo spettacolo come tutti gli altri registi) il 2 agosto e porta in scena, il 3/8, Es sagt mir nichts, das sognante DerauBen (75’). Il giorno dopo è in scena anche il suo Die Hamlermaschine (75’ per la regia di Sebastian Nubling) è uno dei lavori che Latella ha consigliato per giovani generazioni insieme a Miet Warlop che è in scena il 25/7 con Ghost Writer and the Broken Hand (45’).
Noi siamo particolarmente curiosi del teatro politico di Julian Hetzel, di quello musicale e spregiudicato del collettivo Club Gewalt (tutti i theatre makers invitati hanno una sorta di mini-personale con più di uno spettacolo oltre agli incontri aperti e gratuiti col pubblico). E della maratona dell’australiana Susie Dee.
Molte le formule di ingressi: dagli abbonamenti per teatro-ragazzi, alla maratona Biennale-College (prevista a fine festival), alle formule 2-5-8 spettacoli (a partire da 10 o 20 euro). Tutto il programma qui, senza dimenticare la navetta per gli spettacoli a tarda notte alle Tese.
Noi seguiremo per voi il festival con dirette Instagram e con numerose interviste per Slow Words
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Il teatro per giovani - bambini e ragazzi - atterra a Venezia e l’effetto in sala è entusiasmante perché è molto raro vedere adulti e giovani (anche giovanissimi) divertirsi insieme. In realtà Jetse Batelaan (Artemis Theatre Company) non porta al Goldoni sketch tutti di pancia alla Sturmtruppen (anche se, ad esempio, il suo War prende a pretesto i classici motivi comici del soldato pauroso) oppure solo teatro di giocoleria con frequenti interazioni con il pubblico in platea (ancora War, in questo senso, lo eleva al massimo grado inventando una scena-personaggio che si anima dall’inizio alla fine con una sopraffina trama di fili che agita gli oggetti).
Il teatro di quest’olandese mid-carrier molto apprezzato dagli operatori che fanno festival di teatro per ragazzi in varie parti d’Italia che erano presenti in sala fa riflettere e divertire - ripeto, grandi e piccini - alternando momenti di dramma senza alcun nascondimento e momenti di ilarità pura.
Il pregio di queste visioni sta, a mio avviso, soprattutto altrove. Specificamente, nella ‘gamma’ educativa presente soprattutto nel primo dei suoi spettacoli in cartellone (The Story of the Story, andato in scena dopo la premiazione del Leone ed un suo ponderato discorso). E’ difficile fare ‘pedagogia’ alternativa su un palco, eppure lui ci è riuscito. Pedagogia a tratti pericolosa, rivoluzionaria rispetto al senso convenzionale che le viene dato ma molto ben spiegata per essere intesa soprattutto dai più giovani (e non derisa o svilita dai genitori).
Molto attesa, Susie Dee (insieme alla sua fidata sceneggiatrice, l’autrice australiana Patricia Cornelius, presente a Venezia) sopravanza di molti metri le aspettative di critica e pubblico con Love (che viene replicato domenica 28, mentre il talk aperto al pubblico e gratuito offerto dalle artiste è previsto per le 17 di lunedì 29 alla Sala Marceglia/Arsenale seguito da quello di Club Gewalt alle ore 18.30).
La pièce vuole raccontare qualcosa di diverso: come amano le persone che tutti disprezzano (in questo caso tre tossici, due ragazze ed un ragazzo che vivono una sorta di menage à trois costretti dal bisogno di non restare soli).
Ci riesce e va oltre - siamo carpe che dibattono in un torrente con poca acqua, non siamo pesci rossi ma grossi e grassi pesci senza spazio vitale - perché racconta la dipendenza, uno dei tratti fondamentali dell’amore, tutt’uno con lo sfruttamento e lo fa con una scena scarna, efficacissima dove il ‘terzo uomo’ - l’arbitro della ridda di emozioni fortissime - è un astuto gioco di ombre che dipartono dal corpo degli attori e riempiono le quinte del teatro in ogni dove.
Tutto il pubblico attendeva soprattutto Shit il prossimo spettacolo in programma (lunedì 29 luglio) del duo di Melbourne ma Love li ha lasciati letteralmente esterrefatti e non pochi, me compresa, hanno pianto con un misto di ammirazione e profonda gratitudine.
Delude il teatro di parola di Lucia Calamaro, che alterna brillanti elocuzioni e frasi dalla straordinaria profondità a un meccanismo che non parte mai, inceppato tra il sarcasmo grottesco e le elocuzioni sui massimi sistemi che sono un po’ la sua cifra stilistica.
Ottima, al contrario del testo, la prova attoriale di Alfredo Angelici, Cecilia Di Giuli, Simona Senzacqua, Francesco Spaziani che hanno elevato una drammaturgia difficile e piatta non aiutata da scenografia e costumi, anche firmati dalla Calamaro, che hanno restituito altra freddezza.
Monica Capuani porta in scena le sue traduzioni di testi straordinari (Love and Information di Caryl Churchill; Ecuba di Marina Carr; Frozen di Bryony Lavery; L’incisione di Mark Ravenhill; The Pride di Alexy Kaye Campbell; Orfani d’agosto di John Guare; Boys Will Be Boys di Melissa Bubnic; Orestea di Robert Icke; Gli Antipodi di Annie Baker) lette da gruppi di studenti.
Certa circolarità tersicorea vista in Luz è molto vicina all’unico pezzo di coreografia pura messo in scena dagli studenti di MK (Michele Di Stefano) per metà danzatori puri e per metà attori - che ricorda molto da vicino una rivisitazione dei dervisci che danzano solo in senso orizzontale ma era quello che ha più cercato di lavorare sulla ricetta, inventando un movimento che coinvolge soprattutto il torso e che trasformava ogni attore in una sorta di mestolo e tutti insieme in fruste impazzite lungo un asse definito.
E’ la classe di Susie Dee - che insolitamente inserisce un sonoro registro buffo e di danza per parlare dei temi cari al suo teatro: oppressione e condizione femminile - a strappare gli altri applausi più copiosi. E’ una coreografia ed una recitazione coraggiose con uso asincrono delle luci che parte da un matrimonio combinato ed una deflorazione per svolgersi coraggiosamente in una ballata tragica con un omicidio senza colpevoli perché tutti siamo colpevoli mentre anneghiamo in una canzone pop.
E’ tuttavia la classe di Julian Hetzel (che chiude la maratona) a dare la lezione più politica di questa Biennale.
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