Scolpire e spiegare le drammaturgie: la Biennale Teatro 2019

dal 22 luglio al 5 agosto in vari luoghi

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30-05-2019
categorie: teatro, performance, Poesia,

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Scolpire e spiegare le drammaturgie: la Biennale Teatro 2019

dal 22 luglio al 5 agosto in vari luoghi

La Biennale Teatro (Venezia, 22 luglio - 5 agosto) quest’ anno celebra la figura (plurale e polimorfa) del drammaturgo, non fermandosi alla scrittura ma estendendo questo ruolo ‘magico’ nel teatro anche alla drammaturgia della traduzione, del corpo e della scena. Antonio Latella continua con il suo programma di direzione artistica - anche se, confessa in conferenza stampa, non si è mai sentito tale ma solo un regista e un drammaturgo. 

Il festival mette insieme formazione e grandi spettacoli e prende a prestito esperienze di successo in molti paesi, quest’anno anche l’Australia. 

 

Cominciamo dai numeri e dai premi: 28 spettacoli (23 le novità: 2 in prima europea e due prime assolute), una conferenza/simposio (Pubblicare Teatro, il 26 luglio), letture dantesche nel foyer delle Tese e una ‘ricetta’ come tema del College che quest’anno coinvolge sia gli scrittori (under 40) che i registi (under 30) presentando i finalisti e le produzioni targate Biennale Teatro.

 

‘Il festival di Teatro ha un budget che non è neanche un decimo di uno dei teatri che invitiamo quest’anno - il Gorki di Berlino - perché in Italia il budget pubblico della cultura dal vivo (danza, musica, teatro) è succhiato, letteralmente, dagli Enti Lirici, vere e proprie idrovore. 

Noi facciamo miracoli con quasi nulla, ad esempio facciamo Biennale Musica con soli 800.000 euro dove produciamo anche 4 opere musicali; per Biennale Danza oltre a fare masterclass per danzatori e per coreografi, riusciamo a mettere in campo il budget per pagare danzatori professionisti con cui i giovani coreografi che partecipano al College possono lavorare’ ha affermato Baratta (Fondazione Biennale SPA).

 

Latella ha messo in cartellone registi con una idea di drammaturgia molto diversa. Il Leone d’Argento, che gli sta molto a cuore, è Jetse Batelaan e si dedica al teatro per ragazzi ‘fatto tenendo ben a mente che non bisogna piegare i bambini al mondo degli adulti ma viceversa’. Il 22 luglio alle 18 la premiazione e a seguire il suo The Story of the Story (95’).

 

Jens Hillje - del Gorki Theater di Berlino - è Leone d’Oro alla Carriera: incontra il pubblico (un giorno prima del suo spettacolo come tutti gli altri registi) il 2 agosto e porta in scena, il 3/8, Es sagt mir nichts, das sognante DerauBen (75’). Il giorno dopo è in scena anche il suo Die Hamlermaschine (75’ per la regia di Sebastian Nubling) è uno dei lavori che Latella ha consigliato per giovani generazioni insieme a Miet Warlop che è in scena il 25/7 con Ghost Writer and the Broken Hand (45’).

 

Noi siamo particolarmente curiosi del teatro politico di Julian Hetzel, di quello musicale e spregiudicato del collettivo Club Gewalt (tutti i theatre makers invitati hanno una sorta di mini-personale con più di uno spettacolo oltre agli incontri aperti e gratuiti col pubblico). E della maratona dell’australiana Susie Dee.

 

Molte le formule di ingressi: dagli abbonamenti per teatro-ragazzi, alla maratona Biennale-College (prevista a fine festival), alle formule 2-5-8 spettacoli (a partire da 10 o 20 euro). Tutto il programma qui, senza dimenticare la navetta per gli spettacoli a tarda notte alle Tese.

 

Noi seguiremo per voi il festival con dirette  Instagram e con numerose interviste per Slow Words

 

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Il teatro per giovani - bambini e ragazzi - atterra a Venezia e l’effetto in sala è entusiasmante perché è molto raro vedere adulti e giovani (anche giovanissimi) divertirsi insieme. In realtà Jetse Batelaan (Artemis Theatre Company) non porta al Goldoni sketch tutti di pancia alla Sturmtruppen (anche se, ad esempio, il suo War prende a pretesto i classici motivi comici del soldato pauroso) oppure solo teatro di giocoleria con frequenti interazioni con il pubblico in platea (ancora War, in questo senso, lo eleva al massimo grado inventando una scena-personaggio che si anima dall’inizio alla fine con una sopraffina trama di fili che agita gli oggetti). 

Il teatro di quest’olandese mid-carrier molto apprezzato dagli operatori che fanno festival di teatro per ragazzi in varie parti d’Italia che erano presenti in sala fa riflettere e divertire - ripeto, grandi e piccini - alternando momenti di dramma senza alcun nascondimento e momenti di ilarità pura. 

 

Il pregio di queste visioni sta, a mio avviso, soprattutto altrove. Specificamente, nella ‘gamma’ educativa presente soprattutto nel primo dei suoi spettacoli in cartellone (The Story of the Story, andato in scena dopo la premiazione del Leone ed un suo ponderato discorso). E’ difficile fare ‘pedagogia’ alternativa su un palco, eppure lui ci è riuscito. Pedagogia a tratti pericolosa, rivoluzionaria rispetto al senso convenzionale che le viene dato ma molto ben spiegata per essere intesa soprattutto dai più giovani (e non derisa o svilita dai genitori).

Molto attesa, Susie Dee (insieme alla sua fidata sceneggiatrice, l’autrice australiana Patricia Cornelius, presente a Venezia) sopravanza di molti metri le aspettative di critica e pubblico con Love (che viene replicato domenica 28, mentre il talk aperto al pubblico e gratuito offerto dalle artiste è previsto per le 17 di lunedì 29 alla Sala Marceglia/Arsenale seguito da quello di Club Gewalt alle ore 18.30). 

 

La pièce vuole raccontare qualcosa di diverso: come amano le persone che tutti disprezzano (in questo caso tre tossici, due ragazze ed un ragazzo che vivono una sorta di menage à trois costretti dal bisogno di non restare soli).
Ci riesce e va oltre - siamo carpe che dibattono in un torrente con poca acqua, non siamo pesci rossi ma grossi e grassi pesci senza spazio vitale - perché racconta la dipendenza, uno dei tratti fondamentali dell’amore, tutt’uno con lo sfruttamento e lo fa con una scena scarna, efficacissima dove il ‘terzo uomo’ - l’arbitro della ridda di emozioni fortissime - è un astuto gioco di ombre che dipartono dal corpo degli attori e riempiono le quinte del teatro in ogni dove. 

 

Tutto il pubblico attendeva soprattutto Shit il prossimo spettacolo in programma (lunedì 29 luglio) del duo di Melbourne ma Love li ha lasciati letteralmente esterrefatti e non pochi, me compresa, hanno pianto con un misto di ammirazione e profonda gratitudine.

 

Delude il teatro di parola di Lucia Calamaro, che alterna brillanti elocuzioni e frasi dalla straordinaria profondità a un meccanismo che non parte mai, inceppato tra il sarcasmo grottesco e le elocuzioni sui massimi sistemi che sono un po’ la sua cifra stilistica. 

Ottima, al contrario del testo, la prova attoriale di Alfredo Angelici, Cecilia Di Giuli, Simona Senzacqua, Francesco Spaziani che hanno elevato una drammaturgia difficile e piatta non aiutata da scenografia e costumi, anche firmati dalla Calamaro, che hanno restituito altra freddezza.

 

In queste due settimane il programma della #BiennaleTeatro veneziana ci ha donato molti esempi di fare (e scrivere per il) teatro (da Europa, Australia, Siria, Palestina, Afghanistan). E’ stato uno straordinario crescendo fino al climax rappresentato da Exile Ensemble (diretto da Sebastian Nubling del Gorki Theatre di Berlino e presentato da Jens Hillje, Leone d’Oro 2019).
quotidianacom (L’Anarchico non è fotogenico; Il racconto delle cose mai accadute) ci mostra un teatro fatto di parole e gesti misurati e ricorrenti come un mantra - accolto in una scenografia scarna ma d’effetto. E’ assai suggestiva la lettura della biografia dei componenti di quest’associazione/compagnia italiana (Paola Vannoni e Roberto Scappin) inserita nel catalogo del festival: un’instantanea del mondo del teatro in Italia.
L’Anarchico seduce più de Il Racconto (l’opera nuova presentata in prima assoluta per il festival) dove il finale salva una scrittura più affaticata del primo (dove un testo fortissimo si incontra con una recitazione in sincrono mai lunga, mai insipida).
 
Club Gewalt, giovanissima compagnia di teatro musicale - di cui pubblichiamo giovedì una lunga intervista - è nata soltanto nel 2013 grazie al successo ad un festival minore, ad Utrecht, che li premia con una performance in uno maggiore, ad Amsterdam.
Si formano - e decidono quindi di lavorare insieme - tra i banchi di una classe di teatro musicale (al Conservatorio di Rotterdam) e a Venezia hanno portato in scena due pezzi molto diversi per raccontare la propria drammaturgia.
 
Club Club Gewalt - la trasformazione di uno spazio scenico in sala concerti, club e leisure space - ha letteralmente trascinato i presenti che hanno vissuto oltre due ore divisi in quattro capitoli interagendo con i performer e con gli altri membri del pubblico. L’idea di teatro di Club Gewalt è coeva con la loro età (la più vecchia è la drammaturga e ha 31 anni) e con la loro forte necessità di mischiare cultura alta e bassa, grandi classici e tutti gli edge musicali e televisivi del mondo. E come scoprirete con l’intervista, occuparsi nettamente di società invece che di politica.
 
La seconda compagnia olandese in scena dopo Club Gewalt ha un sapore molto diverso e prende a pretesto alcuni momenti salienti del lifestyle contemporaneo per confezionare j’accuse di taglio politico.
 
Julian Hetzel firma, tra gli altri, All inclusive e The Automated Sniper che prendono a pretesto maggiore l’arte contemporanea e quella sorta di feticismo ed isteria che sembra collegare tutti quelli che la producono e la amano per in realtà parlare di etica, violenza, e ineguaglianze. Il primo spezza la formale interazione performer-spettatore da ogni punto possibile di vista e, senza nessun happy or sad ending la farsa grottesca invita proprio l’audience a varcare la soglia della scena, modificando il momento dell’applauso e della restituzione dei loro commenti.
The Automated Sniper va oltre la sovversione del rapporto spettatore-attore, scegliendo a sorte dal pubblico dei ‘tester’ che determinano le azioni sceniche a cui tutti assistono ed è un agghiacciante shaker che dosa humour e violenza, puntando il dito sul ‘paradosso della guerra’.
 
La prova che più stupisce per maturità di scene, sound design (Tobias Koch) e narrazione è un Amleto portato in scena da una giovane compagnia composta di esuli e migranti, approdata a Berlino e più precisamente al Gorki Theatre per fare formazione (nessuno dei giovanissimi afgani, palestinesi e siriani aveva, nei loro paesi, mai lavorato con la recitazione, la musica, il mimo e la sceneggiatura).
 
Arrivati al Gorki soltanto nel 2016 gli attori di Exile Ensemble si sono presto uniti alla compagnia per recitare anche in altre pièce, ma questo Die Hamletmaschine (che parte - e lo sovverte - dal testo seminale di Henier Muller del 1977) è creato da loro in tutto e per tutto.
Lo spettacolo è straniante, straziante e soggiogante sia per la qualità delle scene (firmate da Eva-Maria Bauer: tutto è avvolto nel tulle nero che crea un effetto ‘bassorilievo’ per i personaggi di volta in volta protagonisti dell’azione) sia per la maturità della recitazione: non era facile scegliere la clowneria per affrontare un testo simile (sia quello originale sia quello riscritto da Ayam Majd Agha) che ha molte parti straordinarie: una su tutte le biografie di personaggi che attraversano migrazioni e cambi di stato repentini - difficili da ‘riassumere’ con il testo originale.
Alla Cerimonia di Premiazione, Hillje ha voluto ringraziare le sue famiglie (quella personale con il suo compagno, quella che l’ha generato, quella del teatro) e si è espresso fortemente contro la deriva populista e razzista in cui stiamo sprofondando. A proposito di integrazione e modelli vincenti, questo Amleto - e soprattutto la piattaforma di formazione teatrale Exile che il Gorki ha creato - parla da solo e dovrebbe ‘zittire’ chiunque.
 
Il Festival termina anche quest’anno con la consueta maratona di performance degli oltre 100 iscritti al College che hanno frequentato le sei masterclass di regia, recitazione, arte performativa, coreografia, traduzione e drammaturgia, sound e set design tenute da Julian Hetzel, Thom Luz, Annelisa Zaccheria e Franco Visioli, Michele Di Stefano, Monica Capuani, Susie Dee.
 
Latella ha chiesto a tutti i docenti di lavorare sulla similitudine cucina/drammaturgia e quindi di lavorare su una ‘ricetta’.
 
Le scene quest’anno (ottima innovazione) sono le stesse per tutti i workshop e la maratona ha abbandonato la Sala d’Armi per trasferirsi al più grande Teatro delle Tese: un lungo e stretto tappeto rosso, un cubo di legno che elegge una grande caffettiera napoletana a trofeo vengono agiti variamente.

Monica Capuani porta in scena le sue traduzioni di testi straordinari (Love and Information di Caryl Churchill; Ecuba di Marina Carr; Frozen di Bryony Lavery; L’incisione di Mark Ravenhill; The Pride di Alexy Kaye Campbell; Orfani d’agosto di John Guare; Boys Will Be Boys di Melissa Bubnic; Orestea di Robert Icke; Gli Antipodi di Annie Baker) lette da gruppi di studenti.
 
Thom Luz ragiona con gli studenti su alcuni movimenti coreografici durante il workshop che essi variamente riprendono e riportano in scena. Il plot è così aperto che lascia la possibilità al pubblico di vederci qualsiasi cosa - ad esempio una certa critica dell’essere gregge e una non velata opposizione ai sistemi di formazione che vanno per la maggiore nel mondo occidentale.Di sicuro è stata una delle pièce più applaudite e l’unica che si confronta dialetticamente con la scena trasformando la caffettiera in una lampada di Aladino ed il tappeto rosso in uno volante.

Certa circolarità tersicorea vista in Luz è molto vicina all’unico pezzo di coreografia pura messo in scena dagli studenti di MK (Michele Di Stefano) per metà danzatori puri e per metà attori - che ricorda molto da vicino una rivisitazione dei dervisci che danzano solo in senso orizzontale ma era quello che ha più cercato di lavorare sulla ricetta, inventando un movimento che coinvolge soprattutto il torso e che trasformava ogni attore in una sorta di mestolo e tutti insieme in fruste impazzite lungo un asse definito.

E’ la classe di Susie Dee - che insolitamente inserisce un sonoro registro buffo e di danza per parlare dei temi cari al suo teatro: oppressione e condizione femminile - a strappare gli altri applausi più copiosi. E’ una coreografia ed una recitazione coraggiose con uso asincrono delle luci che parte da un matrimonio combinato ed una deflorazione per svolgersi coraggiosamente in una ballata tragica con un omicidio senza colpevoli perché tutti siamo colpevoli mentre anneghiamo in una canzone pop.

E’ tuttavia la classe di Julian Hetzel (che chiude la maratona) a dare la lezione più politica di questa Biennale.
 
Si tratta di una pièce originalissima dove gli attori mettono in scena una vera lotta, senza regole (pietà non inclusa). Ciascuno, irrorato ben benino di sangue, entra sul tappeto e deve riuscire a restarci il più a lungo possibile massacrandosi veramente a spintoni e calci. Parlando anche con questi studenti, ho scoperto che non hanno mai provato tecniche di wrestling e che i primi due giorni hanno lavorato a lottare (per davvero gli uni contro gli altri) e poi la lotta è stata totalmente messa da parte per concentrarsi su altro.
Prima di entrare sul tappeto, ogni ‘lottatore’ fa un breve discorso di cui è l’autore: talvolta il testo è stato semplicemente sottoposto a un piccolo fine-tune dal maestro - vuoi per l’inglese quando non era lingua madre o vuoi per qualche consiglio drammaturgico.
 
Il discorso risponde alla domanda: perché ti piace la lotta e per cosa lotti.
Le risposte sono state le più varie, incluso un fischiettio senza alcuna necessità di parola.
Una giovanissima partecipante francese, Estelle (iscritta a IUAV teatro, quindi abita a Venezia da un po’), ha detto che avrebbe voluto restare sul ring il più a lungo possibile perché è un’attrice e non ha luoghi per esprimersi. Sente la mancanza di palchi - in una città dove i centri sociali e comunitari vengono trasformati in hotel o ristoranti - e ci ricorda che nella città della Biennale non esiste spazio aggregativo o teatri aperti ai giovani e persino l’Arsenale, sede della Biennale, resta chiuso tutto per sei mesi l’anno quando non c’è alcuna mostra. E con esso i suoi preziosissimi tre teatri.
Ecco, ci saremmo (in tanti) aspettati una standing ovation per questo coraggio. Gli applausi sono stati scroscianti ma nonostante l’assist di Estelle e le tante straordinarie parole di Hillje sulla funzione del teatro siamo rimasti seduti sulle nostre sedie.
 
Informalmente, a fine festival, Latella ha dichiarato i vincitori del concorso per registi under 30 e per scrittori under 40. Due donne, rispettivamente Martina Badilizzi e Carolina Baglioni.
 
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