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Prada: nuova, imperdibile. Destinazione Milano
Il più importante landmark cittadino nasce proprio quando Milano, anno domini 2015, ospita l'Expo
Mi piace immaginare che non abbia scovato la vecchia distilleria grazie a un prospect dei suoi consulenti di real estate - a caccia di un buon affare e di un edificio mozzafiato. Ma che Miuccia Prada ci si sia imbattuta da sola nella vecchia fabbrica di amari del Cavallino Rosso (o qualcosa del genere) allo Scalo Farini, terra milanese di nessuno, mentre l’autista la riportava a casa in pieno centro con il portabagagli pieno di borse, di vecchi vestiti, di paia di scarpe vintage. Quando? Anni e anni fa, una domenica qualsiasi, di ritorno dallo storico mercatino delle pulci poco distante, quello di Via Lorenzini.
Questo mercato è stato uno degli appuntamenti irrinunciabili anche per il popolo della notte che, dopo aver ballato fino a mattina ai Magazzini Generali e in altri club della zona (l’attuale Plastic non è lontano dalla nuova Fondazione Prada, ma neanche quello vecchio), andava in via Lorenzini a fare acquisti prima di tornare (a dormire). Quell’impalpabile frenesia lucida, quando il corpo è ancora teso da almeno 18 ore senza sonno. Quando gli occhi sono incredibilmente ricettivi, a dispetto dell’assenza di riposo. Quando è fantastico aggirarsi stanchi in mezzo a accessori di ogni sorta ed ogni epoca.
Lei, occhiali scuri extralarge e capelli legati, magari quel clubbers li avrà spogliati con gli occhi per leggerne gusti, simboli e stili?
Non mi andava di chiedere, e magari ottenere un no comment oppure un semplice no: preferisco, ripeto, immaginare sia andata così, che Miuccia si sia innamorata della vecchia distilleria perché andava in Via Lorenzini. Una volta avevo sentito dire che la Fondazione avrebbe dovuto ospitare anche la sua collezione immensa di second hand, ma non so se avverrà, magari chiederò.
Quella vecchia distilleria si è trasformata, a firma OMA (Rem Koolhas, a lungo l’unico architetto di Prada, dai negozi alle passerelle ai progetti speciali: ora Roberto Baciocchi ha fatto take over dei negozi, circa 300), nella nuova Fondazione Prada, ma anche nel più importante landmark cittadino proprio quando Milano, anno domini 2015, ospita (al capo opposto dell’urbe) l’Expo. Inaugurata qualche giorno dopo l’evento monstre ed incompleta. Immagino sarebbe stato uno smacco per il Comune di Milano inaugurasse prima…prima di un Expo insipiente ed inadeguato al suo tema, dove si sta solo preparando un sito per altri condo super lusso senza compratori.
Il curatore della Fondazione, Germano Celant, l’ha definita su un magazine cittadino (Interni) ’19.000 metri quadri di cultura’. Non è ancora finita dicevo: la Torre, uno dei tre edifici nuovi (oltre al Podium e al Cinema, già aperti) , è ancora in costruzione. Tutto quello che c’è già ospita già tanto in una magmatica effervescenza fatta di mostre, festival ed eventi, comunicati con breve anticipo e decisi ancor più snellamente da un gruppo di esperti che affianca il direttore artistico (la Fondazione è da sempre diretta da un’incredibile donna, la tedesca Astrid Welter). Ma andiamo con ordine, mettetevi comodi.
Parliamo del più importante gruppo di moda italiano, che da anni (per amore dei suoi proprietari) colleziona arte e produce i sogni di molti artisti da ogni parte del mondo, organizzata in fondazione dal 1993. Prima operava in via Fogazzaro, non disdegnando lasciti culturali ed artistici molto preziosi fatti di installazioni uniche e progetti in chiese ed altri luoghi della città (da università private al carcere cittadino) e ben oltre (nei musei e negli spazi pubblici delle più grandi città del mondo).
Il Progetto Arte di Prada prende i contorni della Fondazione così come la conosciamo oggi (è di diritto olandese) dopo sperimentazioni in ogni campo del sapere, persino un’edizione del Tribeca Film Festival a Milano (ed uno sfortunato tentativo di Ambrogino d’Oro ad uno dei suoi tre fondatori, il famoso attore Robert de Niro) e una casa editrice (ancora attiva) che ha pubblicato non solo i cataloghi delle mostre via via prodotte. Ancora arte, architettura e cinema sono i linguaggi della contemporaneità di cui Prada si nutre per farsi domande sui tempi in cui è immersa. Noi ovviamente siamo i destinatari di queste risposte e delle innumerevoli traiettorie che esse prendono prima di giungerci agli occhi (e alle orecchie).
Non credo ci sia stata mostra che non abbia visto (da due anni anche nella sede di Ca’ Corner a Venezia), non credo mi sia possibile ricordare quale abbia amato di più. Dei progetti milanesi, posso forse dire che quella che mi ha stupita di più è stata Mariko Mori (1999) e quella dove sono tornata più volte una (enorme) personale di Steve McQueen (2005).
Certo, se vivessi sempre a Milano sarei tentata di usare la Fondazione (e tutti i suoi spazi quando saranno completati, compreso il progetto Bambini che ospiterà anche una biblioteca) come mia quarta base creativa fino a sera e starei tanto al suo cinema (a luglio si è appena concluso un mini festival cinematografico, My Inspiration, ideato da Roman Polanski a cui Prada ha chiesto di selezionare i film che lo hanno più emozionato accanto ai suoi ed a un documentario prodotto per l’occasione). Soprattutto siederei a lungo al Caffè Luce, firmato da Wes Anderson (sempre aperto ed utilizzabile anche senza entrare alle mostre, tranne che non ospiti shooting fotografici…: informatevi prima di passare la vostra giornata da Prada, perché il primo caffè per un momento di ristoro, decente, potrebbe significare raggiungere Corso Lodi!). Gli steward delle sale vi stupiranno: sembrano selling machines al primo impatto, vi aprono la porta come se fossero in uno shop. Hanno un’uniforme a metà tra inmate e cyber assistant (total look Prada, molto differente da quello che vestono a Ca’ Corner, dove anche il mood della loro relazione con il visitatore è molto diverso e assolutamente adeguato all’architettura del palazzo). Ma se andate oltre nell’interazione, avrete notevoli sorprese e credo questo sia parte integrante di farvi sentire atterrati in un mondo concluso.
Le prime volte che ho messo piede alla Fondazione Prada, ancora in costruzione e quando ancora Milano non era inceppata dalla crisi, è perché fui invitata con le mie classi di studenti della Domus Academy, mi ricordo che spesso fendevo di netto impermeabili cortei di cinesi che manifestavano con cartelli incomprensibili al vicino consolato e mi rendevo conto che la zona dello Scalo Ferroviario dove era situata restava piuttosto inaccessibile, discosta dal brusio di fondo di una città ne’ grande ne’ piccola affamata inutilmente di nuovi quartieri da sviluppare con schemi già desueti ancora prima di arrivare al progetto esecutivo. Ancora oggi, ogni piccolo dei pochi negozi del circondario è prettamente dedicato a una popolazione cinese che si reca in costante pellegrinaggio – di rabbia o di speranza - al suo consolato.
Ci sono tornata in una giornata piena di sole: le superfici cangianti di cui è ricoperta la Fondazione giocano con la luce e l’effetto è straziante per quanto straordinario, soprattutto nel quartiere di Milano dove il compound si trova. Gli alti muri un po’ nascondono l’effetto, occorre entrare per gustare appieno i riflessi della foglia d’oro che ricopre il corpo di fabbrica pre-esistente e ristrutturato, la Haunted House, la stessa che si usa per gli interni o i restauri, che ospita Louise Bourgeois ed un progetto speciale di Gober. Ed anche i blocchi di schiuma di alluminio utilizzati come copertura esterna per il cinema ed il deposito. Non pensiate che costino …troppo, almeno stando alle dichiarazioni di Koolhas la foglia d’oro costa meno di marmo e acciaio e la schiuma di alluminio pure (è usata peraltro per assorbire le schegge delle esplosioni, dice: ecco che torna l’idea del compound, della perimetrazione, dell’impermeabilità e ancora oltre: della durabilità).
Tornando all’arte, attualmente la Fondazione ospita a Milano Serial Classic e a Venezia Portable Classic (fino al 13 settembre). Grazie all’Expo e al potenziamento delle linee ferroviarie veloci di fatto è possibile, finalmente, visitare Milano e dopo cena andare a Venezia o viceversa… Ho provato a fare entrambe le cose, e devo dire che ancora una volta mi sono stupita. Non sono le mostre della Fondazione che ricorderò – e neanche Art or Sound è stata la mia preferita, amo molto di più le personali delle retrospettive – ma l’approccio di queste due mostre mi ha colpita. E’ una fine analisi del collezionismo e della “reputazione” che i nobili non di casato avevano cercato e ottenuto agli occhi dei pares e di dignitari stranieri con cui facevano affari attraverso il mecenatismo e la commissione di opere. In particolare, poi, Portable Classic analizza quanto l’atto del mostrare la propria collezione in epoca tardo rinascimentale influenzi un vero e proprio genere riproduttivo (la produzione di miniature di statue greco-romane).
A Milano c’è molto altro oltre l’installazione permanente di Louise Bourgeois e di Robert Gober (una straordinaria, lucida riflessione sugli spazi senza tralasciare la sua poetica abituale: in questo caso, in particolare, vengono in aiuto le enormi finestre di cui ogni ambiente della Fondazione è dotato, l’effetto dell’arte di Gober – quello dell’installazione momumentale allo Schaulager di Basilea - è moltiplicato per mille dall’intorno, sapientemente incorniciato). Oltre a Serial Classic (che chiude il 24 agosto) c’è, fino alla fine di ottobre, In Part a cura di Nicholas Cullinan (uno dei componenti del Thought Council di cui fa parte anche l’intellettuale britannico Shumon Basar che in Italia è stato molto vicino alla Domus diretta da Flavio Albanese). In Part lavora sulla poetica del frammento a partire da due autori molto cari a Prada, tra cui Pascali. Il Thought Council è una sorta di brain feed per la Fondazione, è a composizione variabile e assiste sia il direttore artistico che i direttori di dipartimento (oltre a Welter, Mario Mainetti che cura le pubblicazioni, Alessia Salerno che cura l’exhibit design). Ne fanno parte tra gli altri, dal maggio scorso, anche i coniugi Bertelli/Prada.
Fino al 10 gennaio 2016, altre due mostre si sviluppano negli ambienti tentacolari della Fondazione. Non c’è un percorso di visita prestabilito (occorre solo prenotare l’ascesa – quasi monastica o spirituale - alla cattedrale dei fantasmi, la Haunted House nomen omen) ma un piccolo booklet aiuta a non perdersi. Una, forse la più spettacolare, è Trittico ancora una volta partorita dal Council: una sorta di palcoscenico per poche, tre, opere selezionate dalla collezione Prada, che ricordiamo, ha anche opere del XVI secolo. Attualmente, lo spazio della ex Cisterna della distilleria ospita ‘Case II’ (1968) di Eva Hesse, ‘Lost Love’ (2000) di Damien Hirst ed ancora Pascali con ‘1 metro cubo di terra’ (1967).
Certo, il momento di perdersi totalmente arriva al magazzino, che io visitai quando ancora era in restauro: An Introduction (fino a gennaio 2016) raccoglie un coacervo tale di impulsi (sempre dalla Collezione Prada) che definire eclettico è poco. Dalla minimal art fino ai giorni nostri (passando per una sala dove si trova uno scrittoio/studiolo del XV secolo e tutta attorno una quadreria straordinaria di contemporanei) fino ad una grande hall che ospita automobili create da artisti (sia quelli che hanno lavorato con la Fondazione come Rehberger, altro artista della scuderia di Giò Marconi; sia quelli che non lo hanno ancora fatto tra cui Sarah Lucas ed altri).
Dopo aver sponsorizzato la sua penultima Biennale Danza a Venezia, Miuccia Prada chiama Virgilio Sieni per il prossimo appuntamento noto negli spazi della Fondazione a Milano, L’Atlante del Gesto, dal 18 settembre al 3 ottobre.
Sarebbe davvero inutile farvi la lista della quantità di pensieri e stimoli (a parte le opere) che si confrontano in ogni angolo. Sarebbe talvolta anche crudele: la scoperta è la destinazione ultima di questa fondazione privata. Quello che hanno voluto fare è, esattamente, riprodurre (costantemente, per ogni provenienza culturale del visitatore) quello che la collezionista prova ad ogni incontro con un creativo – artista, architetto, cineasta. Stupore, input creativo, sodalizio, affrancamento dal quotidiano, iperbole, passione, comunanza, imprevedibilità. Non solo cibo per la mente, in fondo per 10 euro Prada sta condividendo una parte sostanziale del suo sketch-book.
Non so, non riesco a pensare a Bertelli emozionato per l’arte allo stesso modo di Prada. Ma sono sicura che per continuare a farlo insieme, hanno trovato un territorio comune.