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Basilea e oltre: temi primari tra arte, teatro, design e collezioni
data: 17-06-2015
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Intervista a Nicola Toffolini
Inventore di mondidata: 24-04-2011
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Donne senza uomini.
Installazione multimediale di Shirin Neshatdata: 01-03-2011
Viaggio al termine della notte? Il week end dell'arte torinese.
Da qui a febbraio mostre e eventi bulimici, monstre, risvegliano il torpore della città sabauda
“Finalmente” - mormorano torinesi e non (come a Milano anche qui vivono molti expat o persone non nate in Piemonte).
Tutti aspettano la settimana dell’arte (che è ufficialmente iniziata il 5 novembre con l’opening di Shit and Die, la chiacchierata mostra di Cattelan) per vivere giorni più frizzanti, svegliarsi dal torpore e dalla noia che pare serpeggi anche qui. E’ un po’ come l’effetto Prozac del Fuorisalone milanese – dove poi tutti si disperano quando intravedono gli ultimi designer abbandonare la città.
Alcuni amici mi dicono assai sottovoce esista un effetto simile persino a Parigi. Ma qui indugio sul viaggio al termine della notte di Torino, per vedere se è finito. O costatare, questa è la risposta, che è appena iniziato.
Qui il Comune se ne accorge (molto più che a Milano, molto meno che due giunte fa però) e vi pone rimedio. Non certo solo acquistando (oggi inaugura Luci D’Artista e l’insegna luminosa/memento mori – Cultura=Capitale di Alfredo Jaar– è diventata permanente: campeggia in Piazza Carlo Alberto). Ma continuando a scommettere sulla fiera e allargando il raggio d’azione pubblico sulla commistione degli eventi che si susseguono dentro e fuori Oval, la casa di Artissima, ma anche di altre fiere (come quella degli outsider, Paratissima) e di itinerari che si snodano tra gallerie (oggi la Notte dell’Arte contemporanea), musei storici e neonati insieme (non l’un contro l’altro, badate) decine di fondazioni private. Magari sarà la tradizionale riservatezza sabauda, ma qui pare filino tutti d’amore e d’accordo almeno quando vengono gli ospiti da fuori. E portano a casa anche coordinamenti inter-regionali. La Sandretto Re Rebaudengo, ad esempio, ha riunito tutte le Fondazioni private per l’arte contemporanea italiane e le rappresenterà, in forma di lobby, per interloquire con Franceschini (in bocca al lupo, signora!).
Ecco, prendiamo il Museo Ettore Fico: nasce nella zona in riqualificazione della Spina (vi ricordate i Docks Dora?), in una vecchia fabbrica di filati metallici. Ospita giovani artisti con un buon percorso già maturato a livello internazionale (adesso uno dei miei preferiti, il duo torinese Allis/Filliol, dialoga con le opere del pittore biellese a cui il museo è dedicato). E in sé racchiude non solo il perimetro vocazionale di Artissima, ma un po’ della bellissima città sabauda. Non è facile trovare un lavoro a Torino (men che mai a Milano anyway), non è facile essere ottimisti dopo la sbornia Olimpiadi invernali che in quanto alla famosa legacy ha lasciato poche cose di cui essere fieri (l’attuale sede di Paratissima è un esempio di fallimento), è facile però incontrare tante persone della stessa età che ancora resistono e ancora si incontrano (e vecchi assessori che vanno a visitare gli eventi che avevano fatto nascere, o past president che non girano per farsi vedere in giro, ma perché guardano ancora alle loro creature e se possono danno una mano).
Qui a Torino è dove le buone università fanno da contraltare ad una creatività diffusa che Milano invece fatica a coltivare (parlo sempre di istituzioni) e che a Venezia non sanno neanche di cosa si parli (qui le istituzioni non sono pervenute, quando ci sono sono penose, e i privati peggio: basti guardare alla ultima, brutta Fashion Night; qui pensano solo a fare schei subito!).
A Torino questa settimana (e spesso anche in altre dell’anno) è tutto un fiorire di djset e di nuove esplorazioni od occupazioni creative (quest’anno tocca a San Salvario, il quartiere casbah lungo l’asse di Porta Nuova, che viene attivato – domani - dagli istituti di cultura stranieri, British e Goethe su tutti, con proiezioni e musica). Ecco cosa abbiamo visto in fiera e fuori, una goccia di quello che è in mostra da ora e fino ai prossimi mesi.
Cominciamo con il fuori: bella la nuova sede di Franco Noero che osa e va un po’ più in là andando ad esplorare una prima cinta al di là del centro (Via Mottalciata in zona Vanchiglia, verso la Barriera). Da circa un anno il gallerista opera qui, in una grande sede, tutta bianca, ricavata da un’officina. Ospita (fino al 23 dicembre) una personale di Tunga; prima volta del brasiliano in Italia, espone sculture - complicate e in equilibrio precario - fatte di resine, metalli e legno che si accompagnano a disegni eterei su diversi media.
Artissima all’OVAl (Lingotto) seleziona un parterre di gallerie maggiore dell’anno precedente (19 aperta dal 2009 e provenienti da 11 diversi paesi sono presenti per la prima volta, premiata quest’anno la romena :Baril) e si concentra molto sulla performance (lo avevano fatto anche precedenti curatori, la migliore edizione sin qui vista era quella di Andrea Bellini), affermando (sono dichiarazioni di intenti della curatrice purtroppo non vedremo le performance) che lo scopo è presentare una sezione di azioni e live in senso commerciale, promuovendone cioè la vendita. Ci incuriosisce ArteRicambi (una galleria veronese) che presenta Prinz Gholam e poi Italo Zuffi (presentato da Pinksummer, sabato 8 novembre 15-15.30) che avevamo già visto all’opera come assistente di Castellucci in un workshop a Venezia .
Artisti mainstream accanto a nomi nuovi. Mi hanno colpito alcune sperimentazioni sulla pittura come mezzo ed anche l’interesse rinnovato per opere su carta che esplorano questo mezzo in forme non strettamente legate solo al messaggio stampato ma anche alla sua funzione scultorea.
Allo stand di Frutta, vivace galleria romana, un esperimento di Gabriele De Santis, che dipinge direttamente il vetro (in acrilico), altri suoi pezzi sono a Torino alla Fondazione 107 fino al 30 novembre alla mostra De Generation of Painting.
Il duo Curandi Katz mastica (coi piedi) e ricompone a mano fogli di carta dove scrive in stenografia l’esito di una performance (l’opera è Word for Word/Parola per Parola del 2014 allo stand ArteRicambi); Gian Maria Tosatti, protegè di Eugenio Viola visto da Lia Rumma (uno dei giovani artisti da lei rappresentati, Tobias Zielony, espone al Padiglione Tedesco alla Germania alla prossima Biennale di Venezia), lavora su un tema molto attuale (la guerra) con un disegno testuale (un dattiloscritto intitolato La mia parte nella seconda guerra mondiale nel 2014) e nello stesso stand un altro promettente giovane artista (concettuale), Domenico Antonio Mancini, ritorna su un tema a lui caro (le armi) e ne confeziona un libro con un revolver a scomparsa (Per una nuova teologia della liberazione #2 del 2011).
Esercitandosi sul linguaggio e sullo storytelling - meno accoppiato al feticismo della carta - Dénes Farkas (in passato premiato ad Artissima) alla galleria new entry di Budapest Ani Molnar presenta un’installazione rapsodica a parete in cui foto e messaggi compongono un vero e proprio romanzo.
Da Jocelyn Wolff, risme di carta perfettamente ordinate fanno da carta bianca a una video performance tra le migliori viste in fiera (poco il video quest’anno, se non nella sezione Present Future e negli stand di dealer specializzati come Monitor, che a Roma inaugura una personale di Nico Vascellari il prossimo 14 novembre). Si tratta di Zbynek Baladran, che oltre a fare l’artista, crea e cura mostre e scrive. Il pezzo, intitolato Assemblage Against Essences si occupa di raccontare, con minuzia di particolari, ed in pochi minuti in loop, la quintessenza di una storia fantastica – tra creazionismo e assurdità (costo 15500 euro, 3 edizioni; ciascuna con 1000 pezzi di fogli formato A3 riordinati in pile).
Certo, molti artisti storicizzati ed established si esercitano su questa pratica e ci sono anche altre opere di essi tra i vari stand in fiera (tra cui Sunlight on a Leaf di William Kentridge). Una in particolare, un’installazione del sessantaquattrenne Leif Ellgren (ha rappresentato anche i paesi Nordici alla Biennale di Venezia), che è composta anche da un racconto (visto allo stand della Belenius Norderhake).
Dipingere con il marmo, o anodizzare il titanio o resinare la plastica. Pratiche estreme bidimensionali ed insieme gesti assolutamente pittorici - per materiali che mai sono stati “tela”.
Il marmo, o meglio riflettere sullo straniamento che può operare l’esperienza visiva (a dispetto delle tecniche e del materiale di partenza). Visto da Mor Charpentier (Parigi), l’autore è Mohamed Namou, algerino, 1987, di stanza in Belgio: la galleria scommette molto su quest’artista. Gli ha già organizzato, il mese scorso, la prima personale ed in fiera porta due progetti (i prezzi partono dai 4000 euro): Poche e Failure. Nel primo, l’artista disegna dei monocromi di tela, dai colori straordinari. Crea delle tasche in cui inserisce spezzoni di marmo a creare un effetto straniante che allontana sia dall’oggetto sia dal mezzo pittorico. In Failure si esercita sulla ricreazione: spacca lastre di marmo già lucidate e le ricostruisce con resina, anche qui colorata con bellissimi toni.
Visto dalla danese Last Resort (una delle nuove gallerie fondate dopo il 2009 e per la prima volta presenti ad Artissima), Mikkel Carl presenta Untitled (2014), un piccolo foglio di titanio da appendere al muro (25x20) che vedete nella gallery di immagini collegate a questa news come tutti gli altri citati.
Visto da Guido Costa Projects, Diego Scroppo con suoi minuscoli quadri ovali, dove a dominare come superficie pittorica è la plastica, poi resinata ed incorniciata.
Citazionismo e messaggi – scrittura sotto forma di strano advertising emozionale: parecchio vista in fiera – anche dalla brasiliana Mendes Wood DM, con International Division of Labour tre quadri di dimensione variabile (qui pittura tradizionale, acrilico su tela) di Adriano Costa.
Lorcan O’Neill, similmente ad altri colleghi, ripropone oggetti che suggeriscono una funzione (come visto a Frieze tre anni fa, dove spopolarono questo tipo di opere) e lo fa con una straordinaria scultura di Kiki Smith.
Da Kiki Smith a Martino Gamper: il collezionismo ed l’arredo storico sono protagonisti di Design A state of Mind (alla Pinacoteca Agnelli fino al 22 febbraio), più che una mostra uno statement del designer ed artigiano altoatesino, allievo di Ron Arad, ex stella in esclusiva della Nilufar (mezza mostra, se non tre/quarti, è a quattro mani con i suoi pezzi storici ed i pezzi di Martino che intermedia la potente Nina Yachar, ma non solo i suoi). Gamper ha chiesto ad amici e colleghi – e che amici e che colleghi! – di portare i propri oggetti di affezione da esporre su librerie ed altri arredi per creare una sorta di mondi paralleli all’oggetto alla sua storia ed al suo contesto, spesso distantissimo dal genere di collezioni che vi si son insediate. E dal collezionare in arte e design.
Questa mostra è imperdibile. E’ appena fuori da Artissima: non vi illudete di farlo in 10 minuti, dovete leggere e perdervi nella disordinata legenda che vi affideranno nelle mani una volta superata la cassa: capirete cosa significa tenere un archivio di una collezione in meno che non si dica. Ma sarà anche un trip - stile anni ’70 – nell’accumulo creativo e nel processo di genesi delle opere. Ed un modo per conoscere, da un angolo diverso, nuovi autori (come Troika) di cui vi abbiamo però già parlato.
Non è imperdibile invece Shit and Die la chiacchierata mostra di Artissima organizzata dalle istituzioni torinesi che detengono il marchio della fiera giunta alla 21ma edizione. Ovviamente Cattelan è riuscito nel suo intento a far parlare di sé (a me sta anche simpatico, ma l’arte è qualcosa di più che immagine e sensazionalismo, altrimenti non si capisce perché si spendano tanti soldi dei tax payers nell’educazione all’arte, basta fare una rivista e chi vuol guardare se la compra).
Due belle cose che restano da questa mostra, anzi tre: Palazzo Cavour e i tanti pezzi del Museo Lombroso prestati all’edificio per One Torino; un dipinto esagerato di 41 anni fa che riesce a non essere voyeristico pur essendo terribilmente esplicito (Paul Rosano Reclining di Silvia Sleight, 1973); una delle stanze della mostra che ospita i 3 lavori meno malati di sensazionalismo dove il mix&match degli artisti ha particolarmente funzionato. La stanza ospita un’opera del giovane (1983) ma non certo esordiente Julius von Bismarck (12 ore di video performance dell’artista, discendente dell’omonima famiglia di nobili, che sega un albero con un temperino insistendo sempre nello stesso solco. Come una puntina di un giradischi), un pupazzo di Myriam Laplante (Bambina) e una luce impazzita di Petrit Halilaj (non temete, non è un giovane artista ma uno established già visto a Venezia nella Biennale curata da Gioni).
Il party di Maurizio al Lapsus la notte della vernice era meno mondano di quanto accadeva nella stanzetta delle fotocopie di Palazzo Cavour il giorno dell’opening. Circolava ad un tratto un word of mouth che ha eccitato parecchio signore e collezioniste (di solito così annoiate che manco vedono le mostre fino alla fine…). Si trattava di quello che accadeva nello spazietto grigio e non curato di Palazzo… dove l’artista-curatore-pubblicitario sfornava ciclostili di immagini à la Cattelan e, nel regalarli alle visitatrici (ma anche ai visitatori), poi le timbrava (in fronte!) con il logo di Shit and Die. Tutte a correre e farsi timbrare…. Nessuna pare si sia accorta della portata ironica della cosa, per loro esisteva solo metter subito il selfie su FB.