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Odd Girls
Curran e Dante lo stesso giorno in concorso alla Mostra del Cinema: storie di solitudine estrema
Di sicuro accoppiare Tracks a Via Castellana Bandiera, leggendo le biografie dei registi entrambi in concorso a Venezia 70, sapendo della disparità di mezzi e soprattutto un minimo di trama, prima di vederli sarebbe potuto sembrare azzardo puro, invece, da spettatore dopo averli visti, è stato fantastico.
Entrambi incentrati su protagoniste femminili in lotta con un paesaggio (esteriore ed interiore) dominante e assoluto. Entrambe, le protagoniste, profondamente immerse in una solitudine agghiacciante che nel primo caso è l’unica soluzione possibile, mentre nel secondo esiste in quanto negazione e fustigazione. Ma andiamo con ordine. Vorrei sognaste almeno un pochino come è successo a me ieri in sala alla Mostra del Cinema.
Entrambi sono, in un certo senso, nati da immagini e da testi: Tracks è la storia vera di un’esploratrice sui generis, Robyn Davidson (Tracks è anche un best seller) ma il film si ispira prima di tutto alle immagini del fotografo che accompagna la ragazza (i suoi tre cammelli addomesticati ed il cane Diggity) per tremila chilometri nel bush austrialiano. Via Castellana Bandiera (Italia, Francia, Svizzera, 90’) è il dolore quotidiano di Emma Dante nel conflitto con la sua terra, parte dal suo romanzo omonimo (edito da Rizzoli) e si ferma in realtà in un solo luogo, vagando più deserti (emozionali) di quanto faccia la prima pellicola.
Tracks (Australia, 110’ con Mia Wasikowska e Adam River) è firmato dall’americano John Curran (suo anche We Don't Live Here Anymore ed il più recente Stone). Potrebbe avere il sapore hollywoodiano dei film citati, invece Tracks è diverso perché ha la capacità di fare un film a partire dalla luce, dal sapore e soprattutto dall’intensità di un reportage fotografico. Non va oltre quella delicata, esiziale ricerca (pochi i dialoghi, pochissimi ancora di più gli ambienti laterali agli “scatti” a cui si ispira). Non è solo la straordinaria terra che attraversa o i riti degli aborigeni od ancora il contrasto tra la durezza degli elementi e la fragilità della protagonista a far sognare, ma la capacità (rara) di restare sempre su un registro interiore pur quando il film è (solo) un ininterrotto viaggio che si ripete sempre uguale e con pochissimi dialoghi.
Interpretazione sublime della trentunenne australiana Wasikowska (già vista in Alice di Tim Burton; Jane Eyre, Restless di Van Sant e anche la serie In Treatment) soprattutto per alcuni campi visivi che potremmo definire, data la condizione di deserto, blow up in a canicule o effetto miraggio.
“I am so alone” dice Robyn/Mia. Rick Smolan, il fotografo che la segue e grazie al quale dopo mille avventure riesce a trovare i soldi per fare il suo viaggio (diventerà un reportage per il National Geographic e poi appunto un libro), le risponde “We are all alone”.
“Se tu sapessi il ben che ti voglio faresti un focolino in mezzo al mare”. E’ crudele iniziare da questo verso (una canzoncina) per parlare del primo lungometraggio, in concorso, di Emma Dante. Certo, film non facile per i tedeschi e neanche per gli italiani minus habens (sono molti, e di solito mangiano i popcorn facendo rumore). Tuttavia ci sarà un motivo se il film è prodotto anche dagli svizzeri, oltre che dai francesi. Dopo il successo di Ciprì (senza il suo partner solido e di una vita) alla scorsa edizione della Mostra del Cinema, la filmografia palermitana e siciliana iperrealista trionfa anche con Dante che riporta al mondo in un sol colpo una sua celebre pièce (Le Pulle, come non riconoscerle nelle popolane della Via Castellana Bandiera?) e anche la vita vera della nostra Italia, che si è fermata, in non poche città e quartieri, a Uccellacci e Uccellini.
Due donne di due città diverse – una coppia in crisi - vanno a Palermo per il matrimonio di un amico di una delle due ma non ci arriveranno mai alla festa, sebbene siano vestite di lustrini (total look Fendi per gli accessori). Anche la palermitana sembra non vivere più lì e complice un caldo pomeriggio, la tortuosità delle strade e la sua voglia di conflitto (come conosco bene questa situazione), litigano appena possibile e poi si scontrano con un altro caso clinico, una famiglia della via da cui prende il nome il film: suocera, genero, figli e nipoti di ritorno dal mare. Le due auto procedono in senso opposto. Nessuna delle due lascia spazio all’altra e tutto il film, fino ad un finale amarissimo e nel contempo liberatorio, si dipana attorno a due donne, una anziana sicula di origini albanesi (Samira, Elena Cotta, Coppa Volpi Migliore Attrice) ed Emma Dante a fronteggiarsi nelle loro auto. Tutto attorno vi è quel mondo da cui la Dante personaggio del film sembra fuggire: piccoli magheggi, campare alla giornata, tradirsi, frugare e imbrogliare…
L’incolpevole Alba Rohrwacher (nel film impersonifica un’illustratrice dagli stupendi tatuaggi; già vista in un personaggio lesbico in Io Sono l’Amore di Luca Guadagnino, una delle migliori attrici italiane) non riesce a tirare fuori il male di vivere di Emma se non alla fine, quando un dramma si è già consumato – però in fondo le rimane vicina nel modo che sa e che può. Via Castellana Bandiera è un dramma senza soluzione che non ha salvazione e capisci subito che il grumo irrisolvibile di pena e contrappasso viene da lontano.
La vecchia Samira è contemporaneamente quel che Emma potrebbe diventare, il suo trapassare, letteralmente, il sacrificio dell’una consente la liberazione dell’altra (e non solo in maniera figurata, anche letterale, pratica, meccanica e, of course, con coup de theatre).
E tutto si svolge in un’incredibile, straziante sequenza di sguardi, minime azioni e pesatissimi dialoghi (mentre tutt’intorno il popolo del profondo sud rumoreggia fino al parossismo). Il suono in presa diretta da solo vale il film: è come se Dante fosse riuscita a portare l’azione e la vicinanza ad essa (tipica del teatro) in una relazione cinematografica tipica (mettendoci soprattutto il fatto che si sia in sala, in un contesto, per lo spettatore, di obbligata universalità del linguaggio).
Non posso e non voglio svelare la natura della fine del film, perché sarebbe crudele. Tutto il significato ruota attorno alla parola “staccati” sia dal punto di vista cinetico che emotivo, sia dal lato antropologico e sia da quello strettamente poetico. Dante sa di non potere “staccarsi” se non quando sfiora, o annega, nella violenza. E ha deciso di dedicare la sua vita a cantarla (questa violenza). Si stacca solo se si annega.
Per tornare a Tracks, la foto della copertina di questo post è una scena memorabile del film, l’unico modo che il fotografo Rick, che si innamora di Robyn, trova per starle vicino e per impedirle di morire allo stesso tempo (anche qui non posso svelarvi di più, sarebbe crudele). Alba resta vicina ad Emma raccogliendola all’alba, non seguendola nella notte della sua coscienza.