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Basilea e oltre: temi primari tra arte, teatro, design e collezioni
data: 17-06-2015
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Intervista a Nicola Toffolini
Inventore di mondidata: 24-04-2011
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Donne senza uomini.
Installazione multimediale di Shirin Neshatdata: 01-03-2011
Lei suda fiori
Sarasole Notarbartolo, Taverna Est Teatro: nuove drammaturgie vincenti
Il vocabolario - visivo, tattile e sonico – è quello del sogno. Talmente perfetto e nel contempo assolutamente attinente alla realtà (che di volta in volta si sceglie, si fabbrica ed isola in vitro per lasciarla agire nei suoi spettacoli) che resiste a ogni definizione, tranne quella della magia pura. Sara Sole[1] Notarbartolo rientra nella mia amata definizione di inventore di mondi, lei è al primo posto al momento, lei crea non solo un dispositivo ma un piccolo pianeta fatto e finito da dove entrare e uscire - unicamente soggetto ad una durata ma per il resto detta regole sue che si tengono e che vi avvinghiano e quando finisce ne volete ancora.
I suoi sono mondi sempre nuovi anche se degli anni ‘20 del Novecento, perfetti, verissimi, struggenti e sapidi, dolci come melassa e tragici, irriverenti e chic allo stesso tempo. Fabbricati con nulla, pochissimi soldi e solo un incredibile talento e una imperdonabile forza di volontà nel mare magnum del disastro del teatro contemporaneo in Italia e in particolare a Napoli. Imperdonabile perché questo teatro e questo paese non la meriterebbero e lei dovrebbe smettere di insistere, piuttosto chiudere una valigia e volare alto, lontano, fuori, da parte, andare a vedere cosa c’è un po’ più in là come diceva una saggia signora novantenne che ho conosciuto poco prima che morisse.
Chiariamoci, Sara Sole è una viaggiatrice instancabile, una maratoneta dell’esplorazione di luoghi e città, del corpo e della resistenza, della privazione e del limite. Io intendo solo che dovrebbe lasciare Napoli, o almeno contenderla sei mesi all’anno con un altro posto, non per forza dall’altra parte dell’emisfero.
Ho conosciuto Sara venti anni fa quando - avevamo quasi tutti 20 anni - un mio amico, Giorgio Anastasia, la introduce in una riunione di redazione di un giornale (ciclostilato) dal nome pomposo e altisonante che avevamo ideato e prodotto (fanzine, si direbbe ora). Non ci siamo mai perse di vista e qualcosa insieme l’abbiamo anche fatta ogni tanto anche se a dividerci sono state, nel tempo, città diverse, gli amori, la corsa frenetica di ogni giorno. Non appena c’è un po’ di tempo, ritrovarsi è un clic fantastico, come i mondi che disegna e fa vivere sui palchi del mondo reale, torbido ed annacquato che ci tocca abitare per davvero.
Non avete mai sentito parlare di lei? Non avete mai visto suoi spettacoli?
Sueno, l’ultimo debutto (in esclusiva mondiale poche settimane fa al Napoli Teatro Festival 2013, con tra gli altri Cristina Donadio), è andato in scena tra le locomotive del più bel museo ferroviario europeo (Pietrarsa): un trittico di personaggi la cui identità storica ed emotiva sembra essere reclusa in uno stato ed in una condizione solo parzialmente definita, disorientati e spiazzati come se avessero smarrito un indizio, un gesto, una prova incontrovertibile del loro essere nel Tempo. E’, forse, il teatro di Sara Sole all’ennesima potenza.
Faust è “la storia di un ragazzo di 35 anni, un lavoratore a progetto che vive in una città in cui è molto pericoloso uscire di casa. Nel condominio in cui abita c'è una piccola radio indipendente, gestita da Gesù Cristo. Margherita, Mefistofele, Belzebù e lo stesso Lucifero sono tutti vicini di casa che, a sua insaputa e attraverso di lui, stanno progettando la fine del mondo.” Faust sembra assommare le nostra vita in luoghi perversi e mitopoietici come Napoli, Marsiglia, i Balcani.
I Mulini a Vento è una dose cospicua di Cervantes riveduto e corretto con sonora napoletanità. Sembra un antidoto buono alla Sara bambina. Due nonni raccontano a lungo a una bambina, con l’intento di farla uscire dall’armadio in cui si è chiusa. “Poi il racconto si apre, diventa corpi, figure, cavalli, storie, assassini, miracoli, resurrezioni, apparizioni, ritorni, prodigi, esili, canzoni, scelleratezze, lande stregate sotto la malia dello zucchero, prove di morte, prove d’amore, prove di seduzione, prove di resistenza, paure, paure, paure sempre più grandi tanto che poi, anche quando alla fine poi arriva per davvero, la morte a confronto sarà una cosa piccolissima. Mulini a vento è uno spettacolo di meraviglia e gratitudine, è avventuroso, musicale, festoso e doloroso come la memoria.”
Infine il mio preferito, La Tentazione. Anno 1919, una ragazzina fiorisce. Non è solo un’adolescente che sboccia da un’età all’altra, lei trasuda fiori e lo fa senza potersi fermare, circonda, invade, imprime e sopprime con il suo profumo: un paese, una mentalità, il grigio della storia e delle storie di un sud sempre troppo bieco e pieno di vergogne. Lei, coi suoi fiori, spalma una meraviglia tragica e ottundente su tutto. Suda bellezza.
Allora qualche giorno fa le ho scritto, avrei potuto chiamarla, ma lo scritto è una nostra dimensione sacra così come alcuni scritti, molti e precisamente alcuni. Non la vedo da un anno e più, ma ho bisogno del suo teatro.
Diana Marrone: “Ecco poche domande, piuttosto qualche punto fermo per iniziare a raccontarci e raccontare di te. Donne Minime, il Cerriglio, piccoli luoghi dove iniziare, il nostro kick start è stata la follia di nascere a Napoli, scrivere e progettare cultura in spazi alternativi quando non era ancora di moda e… tutto il resto è noia, direbbe il Califfo. Per restare sempre turgide e soprattutto cariche, abbiamo sfidato tutto ed il suo contrario. Per non impazzire idem.
Mi dici come si fa a costruirsi (da zero, senza santi in paradiso e senza darsi al meretricio) una carriera nel teatro italiano e nella sua drammaturgia, schivare abilmente uomini sbagliati, trovare i fondi, fare spettacoli straordinari in cui mischi poesia e delirio, attualità e storia, creando luoghi e circostanze (una su tutte, una giovane donna che trasuda fiori), un'estetica ed il migliore sound design visto in giro? Se non fossi stata scrittrice e visionaria, avresti avuto lo stesso percorso?”
Sara Sole Notarbartolo (Taverna Est Teatro): Non lo so. Gli uomini sbagliati non si schivano mai, i fondi non si trovano e se si trovano sono pochi, non avere santi in paradiso è un inferno in terra (di cui però vado fiera). Non c'è nessuna spiegazione razionale. Non credo di non essere uscita pazza, piuttosto di aver messo al lavoro la mia pazzia. Sono una dipendente a tempo indeterminato del male che ho nella testa e questo è un bene.
In questa corsa fuori e dentro questa città matrigna ogni tanto c'è stato qualcuno che ha guardato verso di me e ha visto (folle lui-lei) qualcosa di buono. Da sempre, dai tempi del Cerriglio e delle prime pubblicazioni anarco-irrazionaliste.
Hillman parla della “quercità della ghianda”, che è una cosa incontrovertibile, la propria natura che trova il percorso, nonostante tutti gli ostacoli, solamente e assolutamente perché c'è una quercità nella ghianda. Credo sia questo che mi ha salvato, ci ha salvato.
Se non fossi stata scrittrice? Sarei morta di una morte qualunque o sarei in un manicomio oppure magari sarei felice? Non so se è la felicità che ci salva o che cerchiamo. Forse è proprio il dolore che ci salva, perché ci mette in moto, ci fa fuggire o reagire, ci spinge a fare tutti questi giri, a trovargli strade, sbocchi, rese, è una specie di danza è impossibile da dire.
Uno dei lavori che sto scrivendo adesso è proprio sull'impossibilità della comunicazione, e si chiama VAS.
VAS è l'indice di misurazione del dolore, che in napoletano suona come “Baci”.
Lo sto facendo in collaborazione con Massimo Cordovani che cura le musiche dei miei ultimi spettacoli (a proposito del “migliore sound design visto in giro” di cui parlavi), sono alle prime righe e già mi fa assai male. Buon segno.
DM: Mi parli del Fringe e del Teatro Festival Italia di Napoli dove hai appena debuttato, se puoi e se vuoi con la maggiore verosimiglianza, sincerità, obiettività, rabbia e/o poesia possibili?
Sara Sole: Il Fringe l'ho fatto 4 anni fa, ed era l'anno in cui nacque. Poi dall'anno successivo sono stata sempre nel programma ufficiale del Napoli Teatro Festival, assieme a Peter Brook e a tutti questi grandi del teatro mondiale. Il che è molto bello, soprattutto per una drammaturga e visto che in Italia la drammaturgia diciamo “non tira”. Ovviamente però significa anche avere tutta la difficoltà del piccoletto in mezzo ai giganti. La stampa nazionale e gli operatori sono sempre altrove ed è impossibile ricevere le cure necessarie per un allestimento. E' stata una piccola guerra e l'ho combattuta con tutte le armi possibili. Non riesco a descriverlo, ho solo un elenco di sostantivi e immagini: martelli, chiodi, fiori, canarini, lacrime, sedie lanciate, elettricità saltata durante la prova generale aperta al pubblico, un sacco di risate, vernice nera, cubalibre, memoria memoria casa di pena, tutti gli uomini del mondo, treni, date, sogni, temporali, assegni post datati, stagiste kossovare in tiro, la bellezza di 50 minuti contro tutta la bruttezza del mondo, il pubblico che ride e si commuove -la faccia di traverso di uno all'ultima fila con una lacrima che gli scende alla fine- e la forza di una compagnia bellissima (un esercito, davvero, una specie di piccolo esercito di gioia)
DM: Quanto è costato il tuo ultimo spettacolo? Quanto sarebbe costato a Parigi o a Milano (per non andare lontano) e che strutture sogneresti, Asilo Filangieri e Mercadante a parte?
Sara Sole: Quanto un monologo, ma anche meno. E in compagnia eravamo in 12. In più ci hanno tagliato il 20% del budget all'improvviso quando avevamo già pattuito i compensi degli artisti e ci siamo trovati con niente per l'allestimento. Per dirti: alla fine l'allestimento (scene, attrezzeria e tutto il necessario a parte i costumi) è stato fatto con 500 € e con la buona volontà di tutti.
L'ex Asilo Filanegeri la Balena è una specie di paradiso del possibile, una specie di aporia a Napoli, e dà tutto quello che può ma i fondi bisogna trovarli da altre parti, ovviamente.
Sognerei la Friche di Marsiglia, dove ho lavorato due estati fa, ed è una bellissima factory di artisti e non me ne volevo più andare; il Theatre de la Ville, a Parigi, dove hanno messo in scena un mio testo (diretto però da un altro regista David Lescot, molto bravo, sì, molto onorata io di essere messa in scena da lui) e mi chiedevo “Perché non lo hanno fatto dirigere a me? Perché non l'ho neanche chiesto? Perché non vengo a stare qua?”.
In assoluto sognerei una struttura forte che si prendesse cura del mio lavoro, a cui affidarmi completamente e con cui poter collaborare solo da artista. Sono stata assistita da molte produzioni in questi anni, ma sempre come compagnia Taverna Est, che vuol dire responsabilità di altro tipo. Io vorrei fare quello che so fare meglio: scrivere, dirigere, lavorare con gli artisti; invece ancora mi occupo di tutto o di coordinare tutto (ufficio stampa, promozione, amministrazione) e non è per me e sono ore rubate alla vita e lo faccio male. Ma come si cambia questa cosa?
Quest'anno ho fatto 5 regie, 5 drammaturgie originali (tutte qui a Napoli tra Teatro Nuovo, Bellini, Galleria Toledo, Mercadante e Napoli Teatro Festival) ogni volta, ogni replica soldout, teatro pieno, gente che resta fuori. Bene, detto ciò non c'è la fila di produttori alla mia porta.
Un po' sarà questa sindrome della “paura della vagina” che hanno i più, un po' è il famoso santo mancante.
Io però sono di nuovo al lavoro e senza nessuna struttura produttiva a tendermi le braccia.
Ora per esempio ho appena realizzato, (nel lasso di tempo che è intercorso fra le nostre mail) senza nessun sostegno, La danse des amants, con 12 attori-danzatori, il risultato è stato così forte che abbiamo deciso di farlo continuare, proponendolo il luoghi non convenzionali come campagne, sagre, paesini della provincia, balere... c'è stata una tale reazione del pubblico e della stampa che già fioccano le proposte, perché è uno spettacolo evento, realizzato con attorni bravissimi, perché si conclude con una festa a cui il pubblico è invitato a danzare anche fino all'alba. E' un'azione di gioia, e la gioia ha un portato rivoluzionario più grande di noi.
DM: Apologia del reato, pardon, del critico teatrale italiano: cosa trapianteresti per primo (il cervello non vale)?
Sara Sole: I critici a volte vorrebbero fare di più e non glielo lasciano fare.
A volte potrebbero fare di più ma se ne fottono.
Ci sono quelli che ti cagano solo dopo che uno più forte ti ha cagato per primo.
Quelli che vengono solo se in quel periodo sei trendy.
Quelli che vengono perché gli piacciono i tuoi spettacoli.
Quelli che non vengono perché non sei un maschio scopabile.
Quelli che ti recensiscono con sufficienza ma poi fanno il tuo nome per un importante evento internazionale “perché lo so che sei brava”.
Sono umani con tutti gli annessi e connessi.
Uno alla domanda “perché non ha mai visto uno spettacolo di Sarasole Notarbartolo” ha risposto (scherzando?) “non lo so, non mi piace il cognome”.
Dovrebbe essere un lavoro da eroi e di eroi ce ne sono pochi (ma esistono).
DM: Qual è stato il tuo laboratorio preferito di teatro?
Sara Sole: Fra quelli che ho tenuto è indimenticabile quello fatto a Misilmeri, che è una minuscola cittadina vicino Palermo. Stavo scrivendo e cercando attori per La Tentazione, (la storia di questa ragazzina miracolosa che espelle fiori) e lavoravamo, con i miei attori ed altri uniti al workshop, a fare miracoli nella cittadina, ci alzavamo all'alba e andavamo a cucire mele ad alberi che non erano da frutto, riempivamo le fontane di fiori, facevamo serenate, mettevamo cartelli che avvisavano di nozze disdette, facemmo una processione per tutto il paese, fu una festa nostra e della curiosità degli abitanti. Ne uscirono molte scene belle per lo spettacolo.
Il più bello che invece ho seguito fu a Volterra, si chiamava “Secondo Pasolini” condotto dalla compagnia Le Ariette, dire che mi ha cambiato la vita è poco. Lavoravamo a costruire dei carri e poi li portavamo su per le stradine di Volterra e ci fermavamo, facendo azioni, parlando con le persone, leggendo testi di PPP e poi ripartivamo, loro erano magici e alla fine dopo questi percorsi si arrivava ogni sera su qualche colle, si piantavano queste croci e su queste croci un telo per proiettarci su dei film di Pasolini. La sera saliva la nebbia, era luglio, il Vangelo secondo Matteo emozionò forse come non mai tutto l'uditorio, mi ricordo di Stefano, questo attore emiliano delle Ariette, laico come nessuno che al momento della morte di Cristo corse a spegnere tutte le lampadine sospese sul prato, in segno di lutto.
E ora l'intimità: quante case hai cambiato, quanti teatri hai solcato, quanti copioni hai scritto e quanti altri avresti voluto? Chi ti avrà alla fine? Sempre Napoli?
Ho avuto una casa in cui non entrava mai il sole e stavamo col neon di notte e di giorno, ho avuto una casa guscio di noce in cui una notte dormimmo in venti, una casa piena di fantasmi che non ci potevo restare mai sola, molte troppe case-camorra circondate dal brutto e dal male, ho avuto case rifugio di amici che mi salvarono proprio la vita da cui si vedevano cupole di chiese. Forse 15, forse 20, 30 case. Questa di adesso è la più bella, si vedono il mare e i campanili, ma rischia spesso di cadere il solaio.
Di teatri anche tanti, ce n'è uno a Trieste dove sotto il palco entra il mare, ce n'è uno, in Umbria mi sembra, bellissimo, ma che poi scopri che ha il palco triangolare, ce n'è uno a Mostar con ancora nelle pareti i buchi dei proiettili, c'è il Valle che è così bello che non mi pareva vero e non ricordo il secondo atto del mio spettacolo perché ero ubriaca per la tristezza. Non lo so quanti, sempre troppo pochi.
I copioni non li conto, sarebbe come contare i fidanzati, non si fa. Credo di avere scritto tutti quelli che avrei voluto. A volte avrei voluto farlo meglio, avendo più tempo. Ho avuto un marito per sette anni che non voleva che io scrivessi. Sono riuscita a farlo di nascosto, ma fra un anno avrò già quarant'anni e devo recuperare un sacco di cose.
Alla fine chi mi avrà?
Non ho la risposta. E mi fa pure un po' paura.
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Classe ’74, drammaturga, regista e formatrice teatrale, Sara Sole Notarbartolo lavora sul territorio nazionale ed internazionale dal ’94.
Nel 2000 pubblica “Il meraviglioso mondo di Tea” un manuale di storia del teatro per ragazzi edito da Esse Libri.
Si dedica alla formazione teatrale dal ’94 collaborando con scuole di recitazione, compagnie, Università (Università di Napoli Federico Secondo - Facoltà di Sociologia e di Lettere dal ’95 al ‘98 - e Seconda Università di Napoli - Facoltà di Medicina dal ‘99 al 2000) e Festival costruendo un proprio metodo pedagogico incentrato sulla presenza scenica e sul potenziamento dell’unicità di ogni attore. “Premio Generazione Scenario 2005”, “Premio Nuove Creatività” con il sostegno dell’ETI nel 2009, selezione “Face à face, parole d’Italia per le scene di Francia, presso il Theatre de la Ville di Parigi” 2012; fonda nel 2005 la Compagnia Teatrale Taverna Est con cui realizza spettacoli, residenze e laboratori in diverse città d’Italia, in Bosnia, in Francia e Germania. Con la compagnia Taverna Est dal giugno 2009 al 2011 dirige il Festival Internazionale di arte di Strada “Ramblas” nell’ambito del Napoli Teatro Festival Italia. Dal 2010 è tra i registi formatori di “Arrevuoto, Scampia Napoli” del Teatro Stabile di Napoli Mercadante.
Tra gli spettacoli realizzati: “O Mare” 2005, “Santa Lucia della Bella Speranza” 2007, “La Tentazione” 2009, “Faust o della bella vita” 2011; “Mulini a Vento” “Operazione Sciarappa, saga teatrale in tre episodi” “Sueño #4” “La danse des amants” 2013.
In orti, cascine, aie e balere quest'anno porterà “La danse des amants” spettacolo- blitz in forma di ballo. La notizia del debutto, il 7 luglio in un casolare nelle sperdute campagne flegree, è stata diffusa poche ore prima tramite passaparola. Centinaia di persone hanno assistito alla messa in scena realizzata in un teatro improvvisato e poi danzato assieme agli attori in quel luogo trasformato in un paesino in festa fino all'alba.