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Basilea e oltre: temi primari tra arte, teatro, design e collezioni
data: 17-06-2015
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Intervista a Nicola Toffolini
Inventore di mondidata: 24-04-2011
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Donne senza uomini.
Installazione multimediale di Shirin Neshatdata: 01-03-2011
Con gli occhi di qui: Paolo Brandolisio, remer all'Osmarino
I mestieri che stanno per essere dimenticati, i resti della città, come cambia Venezia
Venezia, anche se tanti vi diranno che non è vero, se osservata la base di popolazione nel centro storico è ancora ricca di artigiani sopraffini. Nonostante qui sia difficile - molto difficile - produrre, trasportare, distribuire.
Quando incontri un maestro d'ascia a Venezia - come è capitato a me con il tedesco Christof l'altro giorno a una festa a casa di un'amica tappezziera nautica Daniela Cometti (i due prima facevano barche all'Isola della Certosa; ora fanno le jurta, le tende da deserto, vere e proprie case mobili) - è facile sapere chi è il migliore artigiano di forcole e remi a Venezia. I pareri sono unanimi: Paolo Brandolisio.
Conoscevo già Paolo e dopo il confronto con Christof ho deciso di intervistarlo. Due ore di conversazione senza traccia, speriamo siano ben rappresentate da quel che leggerete di seguito. Mettetevi comodi…
A dicembre 2012, lo so perché sono stata invitata, Paolo ha festeggiato 25 anni di attività della sua "Succ. G. Carli" una fucina di scalmi per imbarcazioni a voga e remi, che ha rilevato a soli 20 anni dal suo mentore, il maestro remer Giuseppe Carli lasciandone intatto il nome per rispetto della storia e del sapere di chi l'ha preceduto.
La storia è questa: sedicenne, Paolo si appassiona all'arte di forgiare il legno per costruire scalmi, in veneziano forcole, e ne prepara una da solo portandola poi al grande artigiano veneziano (da due generazioni autore di pezzi per grandi vogatori): passa l'esame e viene subito preso "a bottega".
Dopo soli quattro anni, il maestro quella bottega gliela lascerà, come erede di un saper fare antico. E unico.
Adesso per avere una forcola da Paolo talvolta si aspetta tanto: è un'arte delicata e complessa. Ogni pezzo è unico (come del resto i remi) e viene firmato e numerato: va calibrato per il tipo di imbarcazione, per il peso del vogatore, per l'utilizzo (da singolo si rema in poppa e lo scalmo avrà quindi una inclinazione, fattura ed incavo per i remi diverso che se si remasse in coppia, a poppa e prua).
Peraltro, Paolo Brandolisio è stata la prima persona con cui ho vogato, intorno a Punta della Dogana in un agitato pomeriggio a fine settembre, con il suo sandalo.
Quante forcole fai in un anno? Quanti remi? Quali altri oggetti in legno? Quanto lavoro ti occorre? Come e dove scegli il legno?
Potrei fare una stima così, a occhio, non le ho mai contate, o magari quell’anno che ne ho fatte in numero eccezionale da gondola e le ho contate, ho scoperto che sono state 30.
Normalmente le persone le riparano fino a che possono prima di farne una nuova. In questi ultimi anni, se ci ripenso, invece ho venduto più remi nuovi.
Faccio una forcola da gondola in 3 giorni, avendo però già eseguito il taglio iniziale – la sbozzatura – che comporta poi un’asciugatura di circa un anno e mezzo o due (dipende da quanto il legno che uso è asciutto). Pertanto ogni volta faccio una stima di pezzi da produrre: l’altro mese ne ho tagliate una ventina così un po’ alla volta le posso fare. Come faccio a dosare? Se so che ne vanno via 10/15 l’anno, ne preparo 20 così sono sicuro. Un anno ne ho ad esempio tagliate 90, con un amico che mi ha aiutato, in una segheria esterna, perché ho comprato tanto legno e sono andato avanti circa cinque anni.
Uso il noce, soprattutto. Userei anche il ciliegio e il pero ma sono quasi introvabili, perché non si trovano più alberi grossi di quel tipo di legno: oggi la coltura è a fusti piccoli e da lì è impossibile ricavare il legno da usare. Una volta nel giardino di casa ce n’erano di alberi grossi, ricordo un pero lungo oltre tre metri e mezzo.
Compro da un grossista che si rifornisce nei paesi dell’est. L’ultimo arrivava dalla Macedonia, mi ha raccontato che son posti quasi deserti da dopo la guerra. Molto tristi.
Noci dal diametro di 60 cm li trovi solo lì. Non servono fusti molto lunghi (bastano anche 1.5 o 2 metri). Anche alberi tozzi vanno benissimo. Io non compro la prima scelta, che di solito va per l’impiallacciatura dei mobili, detta alla “trancia”.
Quanti remer siete rimasti a Venezia centro storico?
Tre, ora in quattro con il mio ex ragazzo a bottega che si è messo in proprio. Il lavoro c’è un po’ per tutti, lui all’inizio avrà un po’ di difficoltà a trovare i clienti. I gondolieri sono un po’ pigri alla fine, si abituano ad avere a che fare con un remer e poi di solito vanno proprio da lui perché sono vicini alla sua bottega (vicino a me ci sono tanti gondolieri). Certo, qualcun altro apprezzerà anche il mio stile. E poi, come si dice, quando uno sa lavorare non deve temere la concorrenza. Qualche anno fa un carpentiere si era messo a fare forcole con un pantografo…ma se hai un prezzo abbastanza giusto per quello che fai, se sei bravo, il cliente riconosce e sa distinguere anche la capacità…
Sono un po’ curioso di Piero, di vedere cosa farà, perché è il mio primo discepolo. Ha quasi 30 anni.
E’ giovane secondo te? No, però a pensarci bene è molto meno giovane di te quando hai iniziato..
Ciò, a vent’anni io ero già paròne a bottega. Oggi è un altro mondo…
Perché si chiamano forcole? Il veneziano è una lingua totalizzante: se non decidi di parlarlo sei fuori. E' oltre una convenzione sociale. E' un manifesto...e credo la voga sia un'estensione di questa patente di "nazionalità". Che ne pensi? Intendo dell'uso assoluto del veneziano e della voga come patente di nazionalità...Inoltre solo qui si voga in piedi, guardando avanti e non ....di spalle e seduti come nel resto del mondo. Spesso vedo genitori e figli che vanno a remi la domenica, soprattutto da una sponda all’altra del canale della Giudecca, fanno scuola!
La differenza tra forcola e scalmo è che quest’ultima ha solo l’incavo ad U dove appoggiare il remo mentre la forcola ha più punti dove appoggiarlo, la sua forma proviene da una funzione. Ma il mio maestro è stato il primo a metterla in base, come una vera e propria scultura, ha dato cioè un valore artistico alla forma che nessuno dei suoi maestri aveva mai usato, considerandolo quindi valore aggiunto. Lui è stato il primo, ad esempio, a mandarne una alta due metri al Museo d’Arte Moderna di NY. Da lì è diventato un pezzo artistico e non solo funzionale. I vecchi, ad esempio, in passato, le forcole rotte le buttavano in stufa. Magari qualche pezzo piccolino per mostra, solo queo, ‘somma…lo tenevano in bottega a mò di modellino…
Tornando alla voga, è un modo di vivere che si sta perdendo. Io ho imparato con mio zio a vogare, adesso invece i figli li si porta generalmente a fare corsi alle remiere. Non molti genitori portano i figli a imparare essi stessi come hai visto tu in Giudecca. Chi va alla remiera percepisce quindi la voga come il tennis, come uno sport più che come un modo di vivere. Adesso i bambini dicono vado “a scout” non vado con gli scout. Tutto è pre-confezionato, pre-formato: pensi che quindi vogare sia solo un segmento di giornata. Un bambino veneziano, oggi, se non viene portato in remiera, non voga.
La remiera inoltre non ti porta in giro nei canali. Quando io ero ragazzo ti portavano solo in Laguna. Perché hanno paura che si rompano le barche. Il senso della voga alla veneta non c’è se non si percorrono i canali.
Sono sicuro che le remiere facciano molto per mantenerla ma per vivere la voga occorre usare la voga per le cose di tutti i giorni, ad esempio fare la spesa in barca.
I canali qui sono le strade, come per le altre città le strade con le auto e i motorini e le biciclette. Qui purtroppo i quindicenni hanno il barchino con il motore e non sanno vogare. Quando i gondolieri vedono me che vado a Rialto a voga, mi annusano come una mosca bianca. Le cose stanno così per una serie di motivi: qui non puoi coltivarle perché la gente che le coltiva non c’è più. Magari, certo, si potrebbe obiettare, oggi non serve a nulla coltivarle…
Di sicuro la voga è più ecologica dei motori (inquinanti che non si controllano mai).
Davanti a San Marco, che sarebbe una delle zone più belle per andare a remi, è impossibile andare a voga perché le onde sono troppo alte. Occorrerebbe che tutti rispettassero i limiti di velocità. Come nelle altre città ci sono le piste ciclabili, anche qui ci vorrebbero delle condizioni in cui è possibile vogare: non dico vogare per poi finire in un cul de sac tipo quel che succede alle bici nelle altre città ma dei canali sicuri. Oppure aboliamo la voga, andiamo tutti a motore e non ci pensiamo più.
Ci sono vari comitati anti moto-ondoso: una specialità dei veneziani è creare tanti comitati per la stessa ragione anche se siamo quatro gati.
In ogni caso penso che alcune cose della Venezia che fu siano sopravvissute solo per il loro successo commerciale, altrimenti sarebbero sparite da un tocco! Il mio mestiere resiste perché ci sono i gondolieri. E loro guadagnano solo con i turisti.
Quali altre cose sono sparite?
I pescatori dicono che molti pesci sono spariti e che la laguna non sia più la stessa. Alla Punta della Dogana trent’anni fa pescavano i rombi, quando la laguna era meno inquinata e i fondali erano diversi.
Ora la laguna sta diventando un braccio di mare, i fondali sono più profondi a causa del Canale dei Petroli. Prima si pescavano i passarini con le lampare, ora non se ne trovano più. L’habitat è parte regina della cultura. Ma se si modifica irrimediabilmente, anche la cultura cambia. Ad esempio la laguna è piena d’orate da un po’ di tempo. Perché? Ci sono varie motivazioni: una è quella che la laguna stia diventando come il mare. Un’altra è che vengono da un allevamento a Monfalcone: le orate selvagge girano intorno alle grandi vasche di orate di allevamento. Se le prime sono femmine, le seconde sono ancora maschi non formati e fecondano le prime. In ogni caso questo surplus di orate stermina le seppie che ormai son un bene raro e che prima qui abbondavano.
Già durante la Serenissima c’erano regole ferree per la pesca e i comportamenti abusivi erano stigmatizzati: non per nulla abbiamo il detto popolare Palo fa Paludo (se pianti un palo così dove ti pare, rovini l’ecosistema perché si crea un paludo tutto attorno).
Con il Mose chi si occupa del giro di correnti? Questo naturalmente si riscontrerà tra un decennio e l’argomento, che a quanto pare non interessa a nessuno, sarà d’attualità quando magari sarà troppo tardi.
Vedi cosa sta accadendo con la storia del ponte di Calatrava e l’ovovia costosissima che non funziona: nessuno ha pensato a controllare prima…L’assessore si è arrabbiato e ha detto: abbiamo ereditato questo problema. Un difetto della nostra cultura è sempre scegliere il male minore, ma non sempre è la strada giusta. Sarebbe stato meglio… non fare l’ovovia sin dall’inizio: ora resterà lì chissà per quanti anni. L’abbiamo continuata a pagare, non funziona e ci costerà anche rimuoverla.
L’artigianato in genere a Venezia non sfugge a questa logica: ha subito per anni gli effetti nefasti del mancato interesse per le cose. Non voglio essere così orgoglioso da dire che il mio lavoro ha un rilievo per la vita degli altri, ma dobbiamo essere consapevoli che una volta perduta, una tradizione artigiana non la recuperi più. Certo, puoi sempre ricordarla, ma è guardare un film, è come un’operazione amarcord. Non è viverla.
Hai clienti all’estero?
Certo. All’estero ci sono sia gondole che barche da voga. L’anno scorso ho venduto dei remi in Inghilterra. Secondo me non ha senso che sia praticata all’estero, perché la voga veneta è stata sviluppata qui per un motivo. Vogavi in piedi per evitare le secche (ora ci sono le briccole che le segnano). La gondola è la massima evoluzione di questa tipologia di navigazione a remi: asimmetrica, remi con il minimo sforzo e massimizzi la pagaiata. Puoi vogare e impalare andando sempre dritti. Il modo di vogare è nato qui per esigenze oggettive. Puoi mettere sicuramente una gondola in un lago, ma perdi completamente la ragione e la funzione di questa navigazione.
Vogare è facile: quando trovi un bravo insegnante è come andare a sciare. Poi vogare in regata è un’altra cosa…ma lì si tratta di essere atleti.
Impari i trucchi (il piede, il modo di muovere il remo, la postura) solo se voghi nei canali, perché in laguna vogare è “solo” portare avanti la barca. La voga nei canali è cultura, è come camminare per le strade di Venezia, le calli, quindi sai che devi stare a destra altrimenti non ci si passa agevolmente. Se perdiamo quel modo di vivere le vie d’acqua, è come se perdessimo un pezzo di noi. Ad esempio tutti gli stranieri – soprattutto gli indiani, i cinesi – non sanno neanche di essere a Venezia proprio per colpa della città che non vive più queste cose essa stessa e non le sa trasmettere, ha smesso di essere fonte d’ispirazione.
Molti dicono che Ruga Giuffa è tipo Chinatown?
No, ci sono solo due bar di cinesi. Certo, se un cinese compra, c’è uno che vende. E chi vende, lo fa per gli affitti altissimi (i cinesi pagano 3000 euro di affitto, vivono perennemente al lavoro e si accontentano di 1000 euro di guadagno, noi non lo faremmo). Non ha alcun senso adesso prendere una bottega e vendere maschere o collane di vetro in centro storico. Troppi a fare la stessa cosa!
Ormai la gente non pensa più di inventarsi qualcosa, farla e venderla. Ma vende qualcosa che fa qualcun altro. E l’idea… migliore che ho visto in città è trovare qualcosa che costa pochissimo…per rivenderla cara, pensa!!!
Che oro che ti ‘sé forcole e remi a questo punto! L’artigiano ci mette la faccia, garantisce dall’inizio alla fine. In queste condizioni, comunque, con gli affitti alti è molto difficile farlo certo, ma ci si arrende alle prime difficoltà e… soprattutto si hanno pochissime idee! Almeno qui. Non è una città adatta a questo, comunque: le leggi e l’ambiente intorno un po’ ti scoraggiano. Piero, il mio discepolo, ha impiegato un anno e mezzo di burocrazia per aprire il suo laboratorio di forcole e remi. Se penso ai tempi in cui ho rilevato l’azienda del mio maestro è stato un ballo de Carnevae…
Santa Maria Formosa?
Forse di più, lì, vedi ad esempio Calle Lunga. Ma è un po’ in tutta la città: a Rialto. Molti banchi sono di stranieri, perché non c’è gente che va a comprare e quindi molti italiani cedono un banco per pochi soldi (meno di diecimila euro) e gli stranieri comprano. Venezia si sta spopolando e molte attività spariscono, colpa anche dei supermercati. A Rialto metà banchi sono chiusi. I banchi valevano dei soldi. Credo che ciò che succede a Venezia sia comune a tutti i centri storici.
Quante vogatrici hai come clienti? Cosa ne pensi del futuro di questa professione e della misoginia che il comparto sembra esprimere?
Credo tre. Se sei una vogatrice o vogatore “della domenica” una forcola o un remo ti dura tutta la vita. Gli unici che consumano veramente sono i gondolieri, sono loro a fare il mercato. Ci sono anche le riparazioni, ma è un mercato limitato.
Faranno mai entrare le donne tra i gondolieri?
C’è già una donna. Ora stanno cercando di tutelare i figli dei gondolieri facendo entrare loro, quindi, se vuoi ragionare con questa nuova possibilità, nulla osta che una figlia di gondoliere potrà entrare. Di circa 400 gondolieri c’è chi a favore, c’è chi è contrario. I contrari dicono che per le donne è troppo faticoso e poi, sì, ci sono i misogini, sicuramente. Un amico mi spiegava però che ci sono proprio limiti di funzione: gli spazi angusti degli spogliatoi dovrebbero essere divisi, se anche le donne entrassero. E sono già piccoli solo per gli uomini. Bisognerebbe cambiare tutto il sistema, che forse sta già cambiando per certi versi. Ad esempio, i traghetti (le gondole che in sei punti attraversano il Canal Grande: San Marcuola, Giglio, Ca D’Oro, etc… ndr), adesso andranno in gestione ai gondolieri e il Comune uscirà dal sodalizio. Tuttavia i gondolieri hanno difficoltà perché se ci sono pochi passaggi, senza la sovvenzione del Comune, rinunciano per mancanza di ricavi. Quindi, vedrai, le madri si rivolteranno contro i gondolieri dicendo che è colpa loro se i figli non riescono più ad andare a scuola. Tipico di Venezia: si protesta senza capire le posizioni dell’altro.
Ti piace la rivista Gondola in Inglese? A me sì…la fa l’associazione dei Bancali.
Non l’avevo vista. Sai cosa sono i Bancali? I capiturno dei traghetti, dei punti gondola. Affondano la loro autorità nelle mariegole, i diari dei mestieri (il corpo di regole di tutti i lavoratori settore per settore) che erano vistati dal Consiglio dei Dieci. Per fare ad esempio il remer, dovevi superare una prova e rispettare le mariegole della tua categorie. Con Napoleone molte sono state distrutte o rubate (perché avevano una copertura in oro zecchino). L’archivio di Stato ne preserva alcune. Una delle regole scritte nella mariegola è il rispetto della chiamata di un traghetto (gondola) a seconda della zona dove si trova il chiamante.
Io non sono ancora andata in gondola in vita mia, non so, mi sento un po’ male che mi pare assai turistico. Ma voglio imparare la voga e quindi ho visitato una remiera (San Pietro) ma attendo che venga riparata dalla tromba d’aria della scorsa estate. Bella quella della Giudecca…
Lì ci sono tante donne e poi ci sono ottimi tratti calmi per vogare…
E la Querini alle Fondamenta Nove?
Lì va bene, perché dopo il pezzo di Canale vai subito in secca verso il cimitero, non è male…
Il tuo straordinario laboratorio è in una zona molto turistica, all'Osmarino. A metà tra San Marco e il volgere verso Casteo Basso, come si dice qui: riesci a lavorare o il flusso ti distrae? Che relazione hai con i turisti? Crei anche sculture funzionali e gioielli in legno: è un mercato succedaneo, un hobby o hai avuto buone risposte anche in questo?
Con i gioielli e le sculture ho cominciato qualche anno fa, perché avendo anche l’aiutante ci dividevamo il lavoro e avevo anche tempo per pensare ad altre cose e sperimentare: bracciali, anelli e anche sculture (con cui ho iniziato addirittura prima). Dai pezzi che restano dalle forcole, con un po’ di fantasia, puoi sperimentare con un largo margine di prova (ed il resto degli scarti serve a scaldare la stufa: non puoi riempirti la bottega di scarti perché sennò non puoi lavorare..)
E veniamo ai turisti. Il loro modo di fare oggi è differente dal passato: entrano come se fossero a casa propria, non chiedono permesso e se ne vanno prima ancora di capirci qualcosa, anche perché non sono curiosi e non vogliono scoprire nulla. E’ cambiato molto da dieci, quindici anni a questa parte. Vendevo molto di più allora ai turisti di ora. Tutto dipende da come è cambiato il modo di visitare la città. Ora è solo “mordi e fuggi”. Quest’estate, mi sono stupito di me stesso, ho dovuto mettere la catena davanti alla porta, la gente entra, non capisce l’inglese, invade totalmente la bottega…O lavoro o faccio il teatrino per i turisti.
Proprio il giorno in cui avevo una guida che mi ha chiesto di illustrare il mio lavoro a due turisti che avevano chiesto un appuntamento, sono entrati altri turisti, senza appuntamento. Una famiglia con bambini, che giravano attorno agli attrezzi e agli oggetti pericolosi…Io non capisco i genitori di questi bambini…la totale mancanza di educazione…Sì è cambiato proprio, ed in un certo senso è peggiorato, il turismo. E’ anche il problema dell’offerta: se ti offrono a trecento euro, per una manciata di ore…la città, immagina che momento culturale possano avere. Il turista che aderisce a quest’offerta è come se andasse al cinema: vede e non scopre. Ti giri e ti gardi…Al cinema c’è uno sceneggiatore e sai che è finto. Anche qui i turisti pensano che tutto quel che vedano sia… finto. Ci sono alcuni che non conosco neanche il Palazzo Ducale. Molti pensano sia un palazzo recente! Neanche io giro per il mondo e mi informo proprio di tutto, ma almeno le cose principali cerco di capirle…
Visitare così Venezia è proprio come stare al supermercato…E mica risparmi, anzi! Fai un pessimo affare. Con la finzione di credere che tutto per tutti è possibile. Come per le forcole. Mica è detto che devi comprarti la più bella, che costa trecento euro. Puoi comprartene anche una di 80… Hanno tutte la stessa funzione. Il punto è che ci sono delle cose buone, che durano tutta la vita (spesso un remo dura più della barca). Sé come le rode d’a Ferrari, non costano come quelle d’a’ Panda! Ritorniamo ai 300 euro offerti per un week end: credi di aver vinto tu, ma hai perso. Mangi seppioline spacciate per veneziane che vengono dall’Asia nel ristorante in cui tutto è surgelato (fra l’altro a Venezia non c’è più pesce…), ti intruppano in finte esperienze, tutte mass-market…Fai un giro in gondola e ti costa di più che chiedere a un gondoliere lo stesso giro! Paghi di più e vivi di meno…
Venezia si spopola di nativi, eppure, anche, si popola di persone di ogni nazionalità che vengono a vivere qui: in fondo, e per certi versi, è interessante vivere in un melting pot dai piccoli numeri e dalla grande potenzialità come questo. Sei d'accordo? Come descriveresti la socialità veneziana? E come i "travasi" di tante nazionalità: rischio o opportunità? Pensi che potresti avere a bottega un artigiano straniero che vuole imparare e fare il tuo mestiere domani?
Ti occupi anche dell'associazione di negozi della tua zona: negli anni devi averne viste cambiare tante per effetto della concentrazione su settori più legati al turismo...
Se parli con veri veneziani, t’è viene da spararse…spesso non veneziani, stranieri che vengono a vivere qui, amano la città più di quanto lo facciano i nativi. E’ positivo sotto certi aspetti. Certo è che l’Indiano che ha preso il banco di frutta e verdura, poverino, non per colpa sua non conoscerà mai Venezia: forse suo figlio riuscirà a farlo. A inserirsi. Se noi veneziani siamo fatti così, bene o male con i nostri difetti (e molte cose che facciamo a Venezia la distruggono), è perché siamo nati qui. Sappiamo cosa fare, ad esempio camminare a destra nelle calli strette…Gli stranieri con un po’ più di soldi, vivono un po’ più la città come dovrebbe essere. Sono inseriti in qualche modo. E’ ovvio che anche queste persone non trovino un terreno fertile, ma solo delle parziali nicchie: se a questo straniero venisse in mente di vogare, trova delle vie di pseudo-venezianità (la remiera, etc). Tutti arrivano qui con il sogno di vivere a Venezia, ma vivono quello che resta. Un rimasuglio di Venezia. Quello mi dispiace molto, perché sin dalla Repubblica, è sempre stata una città piena di stranieri, che la vivevano. Perché era una città viva. Come andare a New York adesso. Ora cosa senti? Pulsare solo quelle poche cose che ci sono, eppure in una maniera distorta.
Hai mai pensato di andare via?
No, ma a fare mezza vita qui e mezza da qualche altra parte sì. Più di qualche volta, specie quando avevo una ragazza canadese. Venezia è un po’ una gabbia d’oro, lei mi ha sempre detto: è talmente avvolgente e accogliente (la lentezza, un nido caldo) che si addice allo spirito ed al corpo. Poi non riesci più a capire, e per apprezzarla meglio ti serve di andartene, per non rimanere irretito, annichilito.
Per citare un detto che a me piace molto (preso a prestito da artisti visivi, Zimmerfrei): faresti figli per questo paese? Cioè per Venezia?
Sì, se avessi dei figli spererei di essere in grado di trasmettere loro tutto quello che sto dicendo. Di sicuro vorrei dare loro un sapore di vita che non voglio che sia perso.